04/04/2023 di Luca Marcolivio

Ronco (Comitato Naz. Bioetica): «Utero in affitto contro princìpi fondamentali e carriera alias pericolosa»

Le problematiche relative al fine vita – ma anche quelle sul gender, l’utero in affitto e la carriera alias - sono state al centro delle discussioni dell’attuale Comitato Nazionale di Bioetica, presieduto dalla fine del 2022, dal professor Angelo Vescovi. A colloquio con Pro Vita & Famiglia, il professor Mauro Ronco, docente emerito di Diritto Penale all’Università di Padova, presidente del Centro Studi “Rosario Livatino”, nonché attuale vicepresidente dello stesso Comitato di Bioetica, ha accennato al lavoro degli ultimi tre mesi del Comitato, individuando in prospettiva alcune sfide molto importanti che attendono l’organo consultivo.

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Professor Ronco, l’utero in affitto è di estrema attualità. Se ne è parlato all’interno del Comitato?

«Il Comitato Nazionale di Bioetica esamina i profili etici che trovano poi regolamentazione giuridica o possono anche non trovare regolamentazione. Non ci si pronuncia sulle leggi, ma sui principi etici che le precedono e su cui hanno riflessi. Pertanto, il Comitato sicuramente affronterà il problema bioetico, valutando se la surrogazione di maternità sia conforme con i principi etici fondamentali che sono alla base dei principi di beneficialità, dei principi di giustizia, di condivisione e di solidarietà che costituiscono i fondamenti della bioetica. È chiaro che rispondendo a questo tema, a seconda delle risposte, se ne potranno trarre conseguenze giuridiche diverse. Chi ha un’etica utilitaristica potrà forse ritenere che il delitto di surrogazione di maternità non abbia ragione di esistere».

La sua opinione personale in merito?

«Ritengo che la surrogazione di maternità vada contro i principi fondamentali dell’etica familiare, dell’etica personale, dell’etica fondata esistenzialmente, fondata su precetti universali di giustizia e di uguaglianza. Questa è la mia opinione personale, che comunque sarà oggetto di discussione dei lavori presso il consiglio del Comitato di Bioetica».

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Anche il tema della carriera alias è in agenda al Comitato Nazionale di Bioetica?

«Non è stato ancora affrontato, anche se è stato proposto di trattarlo in due gruppi di lavoro. Giuridicamente parlando, c’è una tendenza in tutto il mondo in un determinato senso. Ci sono, però, al contempo, molte persone, studiosi, giuristi ma soprattutto bioeticisti che indubbiamente vedono la questione dell’educazione gender come un grande rischio per l’umanità».

In generale, al di là di questi due argomenti, quali sono sono state le discussioni più importanti dal momento del suo ingresso nel Comitato Nazionale di Bioetica?

«I temi all’orizzonte per i prossimi quattro anni sono tantissimi, ne cito due su tutti: proprio la surrogazione di maternità e le disuguaglianze riscontrate nel sistema sanitario nazionale con il Covid-19. Nel contempo, sono stati affrontati due temi di particolare rilevanza, il primo dei quali è stato sollevato dal Ministero della Salute e ha ricevuto risposta lo scorso 24 febbraio: riguardava il problema dell’individuazione dei comitati etici e della loro composizione per quanto riguarda le competenze che la Corte Costituzionale ha loro assegnato nella sentenza relativa alla parziale caducazione del reato di suicidio assistito. Il problema dell’applicazione di quella sentenza è molto grave dal punto di vista etico, visto che la sentenza stessa afferma che i comitati etici devono pronunciarsi in relazione a tutta una serie di tematiche, in particolare quelle sulla vulnerabilità della persona che richiede il suicidio (o meglio l’omicidio). Il tema è molto delicato visto che in Italia ci sono comitati di vario genere e la normativa era piuttosto frammentaria. La conclusione è stata che non devono essere formati comitati ad hoc, che potrebbero in linea ipotetica diventare comitati per il suicidio assistito, ma devono essere utilizzati i comitati etici attualmente esistenti cercando di valorizzare le professionalità mediche, cliniche e psicologiche che debbano favorire il miglior orientamento.

Il secondo quesito proveniva da una richiesta del ministro della Giustizia relativa al trattamento bioetico nei riguardi dell’alimentazione forzata nei confronti di persone che rifiutino di alimentarsi per motivi dimostrativi. Si era valutato se fossero applicabili le norme della legge 219/2017 relative alle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). Il secondo problema era relativo al trattamento che il medico deve somministrare con chi rifiuti di alimentarsi. Una terza questione riguardava il detenuto che richiede il suicidio assistito in carcere. Una risposta comune a tutti i componenti del Comitato è stata nel riaffermare ciò che è stato riconosciuto, tra gli altri, dalla Corte Europea dei Diritti Umani: l’alimentazione forzata nei confronti di persone con piena capacità di intendere e volere non è ammissibile. In secondo luogo, il detenuto che rifiuta di alimentarsi non deve essere oggetto di punizione, né di trattamenti violenti, invasivi o punitivi: anche queste sono posizioni comuni a tutti. Una parte dei componenti del Comitato hanno detto che le Dat non sono applicabili a queste situazioni, perché hanno una funzionalità diretta alla cura della salute e della persona quindi alle scelte in relazione alle cure vere e proprie; non hanno dunque nulla a che fare con aspetti dimostrativi o con richieste che mirino ad altri obiettivi più o meno legittimi».

E’ emerso altro?

«La seconda problematica è la più delicata di tutte ed è relativa a cosa fa il medico, il quale non può opporsi qualora la persona rifiuti con coscienza e volontà un trattamento di alimentazione. Su questo punto siamo tutti d’accordo, tuttavia, il Comitato si è diviso su due posizioni: se una persona è in pericolo di vita e perde la capacità di gestirsi autonomamente, il medico deve fare tutto quello che è possibile per curarlo e per fare in modo che resti in vita: questo assunto è appoggiato della maggioranza dei membri, tuttavia, una minoranza ha sostenuto che non bisogna fare nulla e che il soggetto va lasciato morire. Terzo problema: è ammissibile la ricerca del suicidio assistito in carcere da parte del detenuto? Anche qui, la posizione maggioritaria è contraria. La Corte Costituzionale non ha previsto questa situazione quindi sicuramente non è applicabile. Sullo sfondo, c’era il caso Cospito, tuttavia la discussione non è stata impostata sul caso singolo ma su una problematica di carattere generale, bioetico, oltre che giuridico. Questo dibattito ci ha impegnato molto, comunque siamo soddisfatti di aver concluso questo lavoro e di aver dato la risposta al ministro in data 6 marzo 2023».

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