«Equilibriste». Hanno un titolo assai eloquente, le 80 pagine dell’ultimo rapporto di Save the Children dedicato alla condizione della madri in Italia. Un documento molto ricco di informazioni rispetto alla quotidianità delle 6,2 milioni di mamme – tante sono le donne, oggi, con almeno un figlio minorenne – sulle cui spalle grava un numero crescente di adempimenti ed obblighi. Aventi un’età media di 32,1 anni al momento del parto (la più elevata d’Europa), si tratta infatti di donne estremamente impegnate e con non poche difficoltà lavorative.
Basti pensare che, considerando una fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, appena il 57% delle madri risulta occupata (rispetto a quasi il 90% dei padri), una percentuale bassa e riflesso anche del fatto che la gran parte di esse non può appoggiarsi ad alcuna una rete per la prima infanzia, con meno di un bambino su quattro, ad oggi, frequentante un servizio socio-educativo per la prima infanzia, In pratica, le mamme italiane sono costrette a destreggiarsi tra impegni domestici, lavoro e appunto famiglia; di qui l’indovinato - e meritatissimo, viene da aggiungere - titolo di «equilibriste».
Chiaramente, rispetto a questa situazione la pandemia non ha determinato che un peggioramento, con le mamme lavoratrici di figli piccoli (pari a 3 milioni) che – con le scuole chiuse – si sono trovate a fronteggiare enormi problemi organizzativi; sopratutto considerando la difficoltà, in questa fase, di fare affidamento, ove presenti, sui nonni, a loro volta costretti in casa per motivi di salute e di prevenzione del contagio. Non stupisce quindi apprendere come 3 mamme italiane su 4, secondo quanto rilevato da Save the Children, abbiano dichiarato un aumento del carico lavorativo in questo periodo.
Il che dovrebbe ispirare una riflessione anche, anzi soprattutto a livello politico. Se infatti l’Italia, pur accusando inevitabili ripercussioni economiche, ha finora retto alla fase pandemica (e al lockdown) è essenzialmente grazie alle famiglie e alle mamme, che di esse sono il pilastro. Si sottolinea con forza tale concetto dal momento che, salvo pallidi e temporanei aiuti, le istituzioni della «cellula fondamentale della società» sembrano essersi bellamente dimenticate. Come se la crisi economica fosse solo un fenomeno aziendale o industriale e non, anzitutto, familiare.
Soprattutto, si continua ad agire e a pensare a livello politico senza una vera valorizzazione della maternità e della famiglia, pilastri sociali fondamentali che, evidentemente, vengono dati per scontati. Ma fino a quando le «equilibriste» reggeranno? Vale la pena chiederselo dal momento che l’Italia attraversa già da decenni un terribile inverno demografico pesantissimo, che è il riflesso di molti fattori ma che certo la mancanza di alternative all’aborto da un lato, con i consultori ridotti a notai della disperazione femminile, e l’assenza di sostegno alla famiglia dall’altro, non contribuiscono ad arginare, anzi.
Del resto, non è che le donne italiane non desiderino figli. Tutto il contrario. Già quindici anni or sono, nel volume Famiglia e lavoro (San Paolo 2005), si faceva a tal proposito presente come in Italia ben 60% delle donne con un figlio e persino il 50% di quelle con due figli sarebbero disposte a farne un altro se solo fosse garantita loro un’assenza lavorativa solida e indolore, vale a dire con rientro garantito – diversamente da come avviene – senza penalizzazioni di sorta.
Il punto è che nel nostro Paese le donne che aspettano un figlio non solo perdono il posto, ma spesso non vengono neppure più assunte, ove lo fossero già state in precedenza. Resta tristemente celebre, al riguardo, un’indagine conoscitiva di cui dava conto nel 1997 il quotidiano Il Messaggero e della quale si evinceva come a ben 107 italiane fosse stata chiesta, per procedere con l’assunzione, perfino la certificazione di avvenuta sterilizzazione. Ma, ecco il punto, un Paese che chiede alle donne di essere sterili o «equilibriste» non ha alcun futuro, proprio nessuno. E prima lo si capirà, sopratutto a livello politico, meglio sarà per tutti.