Lo chiamano ddl sulle DAT, ma in realtà sappiamo bene che dietro ad esso si maschera il tentativo di introdurre l’eutanasia in Italia.
Ieri alla Camera è cominciata la discussione, con un dibattito assai vivace. La verità è però che la maggior parte degli italiani non sa quale sia la portata della questione. Ecco perché è necessario informarsi e partecipare a incontri come quello tenuto da Tommaso Scandroglio, docente di etica e bioetica, nell’ambito del convegno “Vite indegne? Motivi e conseguenze della legge sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT)”, svoltosi al Teatro Palmaria alla Spezia.
«La legge sul “fine-vita” in discussione in Parlamento – ha affermato Scandroglio – introdurrà l’eutanasia nel nostro Paese. Si potrà staccare la flebo, probabilmente il respiratore, il sondino per la nutrizione. Tutto, tranne l’iniezione letale. Forse perchè, a livello psicologico, avrebbe fatto capire la realtà dei fatti». E, ancora: «L’eutanasia colpirà anche i minori, i disabili mentali, le persone affette da Alzheimer. Della loro morte e potranno decidere i genitori o il tutore, persona non sempre disinteressata. Inoltre, ci sarà ampia discrezionalità da parte della magistratura».
Verrà dato valore giuridico alle cosiddette “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT), o testamento biologico. «È uno strumento molto inefficace, sostanzialmente perchè la volontà del “paziente” non è attuale. Io decido oggi per il futuro. Ma non so quali patologie dovrò soffrire, nè a quali terapie sottopormi. Studi scientifici mostrano che il fiduciario può interpretare male le volontà del dichiarante. Lo stesso dichiarante non ha piena comprensione del significato dei termini clinici. La volontà della persona, per essere veramente libera si deve attualizzare momento per momento. Nelle DAT, invece, il consenso non può essere informato, perchè l’informazione c’è solo una volta che si è parlato col medico, mentre le DAT sono scritte prima. E se cambiassi idea? Alcuni casi di risveglio indicano la gratitudine dei pazienti verso chi, opponendosi alla loro disposizione, li ha tenuti in vita... Gli “stati vegetativi”, oggi meglio definiti “sindrome non responsiva”, sembrano indicare una nostra incapacità a parlare con loro».
«Non stiamo parlando di accanimento terapeutico. Per un malato terminale, alcune terapie sono inutili. Ma quelle salva-vita non le sono, per definizione. E fame e sete non sono patologie, ma esigenze fisiologiche». E morire di fame e di sete non è esattamente una “buona” morte.
«Nel nostro ordinamento giuridico, la gran parte delle norme considerano la vita come bene indisponibile. Tra queste, l’omicidio del consenziente, l’obbligo delle cinture di sicurezza. Il divieto di mutilazione indica che non sono disponibili le singole parti del corpo, a maggior ragione il corpo stesso. Il poliziotto ha il dovere di evitare la morte di chi vuole buttarsi dal cornicione. C’è un bene oggettivo, che va protetto. Ciascuno di noi è un bene, per sè e per la collettività. Come cittadino ho il dovere di tutelare la vita altrui. Ecco l’omissione di soccorso, ecco il reato dell’eutanasia».
La disciplina del consenso informato, però, ha introdotto un elemento di contraddizione. «Il paziente può rifiutare alcune cure, anche se salva-vita. Il fondamento è una cattiva interpretazione dell’articolo 32 della Costituzione (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”), che però andrebbe letto nell’ambito dell’indisponibilità della vita umana. Le relazioni del padri costituenti rivelano chiaramente il riferimento alle pratiche “mediche” del nazismo. Quell’articolo dà un “alt” allo stato, non è un lascia-passare all’eutanasia».
«Ma se una persona, da sola, non può darsi la morte? Allora, secondo la legge in discussione in Parlamento, diventa dovere del medico darla. Si introduce una visione contrattualistica, che vincola il medico, inficiandone la relazione col paziente. E ben presto si passa dall’autodeterminazione (“scelgo io quando voglio”), alla decisione da parte dello stato (politica o magistratura)».
«È istruttivo vedere la traiettoria percorsa da altri Paesi, in cui le leggi sull’eutanasia sono state approvate da tempo. L’Olanda ha depenalizzato l’omicidio del consenziente nel1993. Solo otto anni dopo, il 2.6% dei certificati di morte concerneva pratiche eutanasiche, di cui lo 0.7% senza il consenso del “paziente”. La legge sull’eutanasia, nel 2001, pose alcuni paletti (es. volontà reiteratamente espressa, a seguito di infrmazioni precise ricevute), che entro il 2005 erano già tutti saltati. Fatto un varco nella diga, crolla tutto».
La risposta, quindi, è nel riscoprire il valore della vita, che «è di altissimo pregio, e non si può disprezzare, neanche in caso di malattia. La persona rimane pienamente tale anche se sofferente o disabile. La preziosità è intrinseca, le imperfezioni o patologie non intaccano la dignità. La qualità della vita può peggiorare, ma la dignità dell’uomo non diminuisce». E va sempre rispettata. È il fondamento della civiltà.
Francesco Bellotti
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