In Inghilterra il nome di Gesù è offensivo nei confronti della comunità Lgbtqia+. Almeno, questo è quanto emerge dalla recente vicenda che ha visto come protagonista il calciatore Marc Guehi, capitano del Crystal Palace e titolare della Nazionale inglese. È in corso il campionato di Premier League in Inghilterra (il corrispettivo della nostra Serie A) e la federazione calcistica inglese aveva deciso di affidare ai capitani delle squadre una fascia arcobaleno da portare al braccio durante le partite della tredicesima e quattordicesima giornata. Il motivo? Testimoniare pubblicamente la propria vicinanza alla comunità Lgbtqia+ e celebrarne l’inclusione.
Il capitano del Crystal Palace Marc Guehi non si è rifiutato, ma ha apportato una modifica: ha indossato la fascia come gli era stato detto, usando però un pennarello per scriverci sopra «I love Jesus». Marc infatti, è un cristiano devoto e figlio di un ministro protestante. Ovviamente, le reazioni da parte dei piani alti del calcio – e delle lobby arcobaleno - non si sono fatte attendere e il calciatore è stato ripreso dagli esponenti della Football Association che gli hanno ricordato che sui kit di gioco sono proibiti messaggi politici o religiosi. Marc ha però ignorato il richiamo e ha deciso, nella giornata seguente, di indossare nuovamente la fascia ma scrivendo «Jesus loves you» sull’arcobaleno e rischia dunque la squalifica. Il tecnico del Crystal Palace, Olivier Glasner, si è espresso così sulla vicenda: «Rispettiamo tutti i giocatori e in particolare Marc. È il nostro capitano. Tutti sanno che è un ragazzo fantastico, molto umile, e non credo che dovremmo ingigantire la questione. Ne abbiamo parlato, ha la sua opinione e noi la rispettiamo»
“Macchiata” la propaganda arcobaleno
Pare quindi che il capitano benefici del supporto della sua squadra, e non solo: anche sui social ha ricevuto tantissimi messaggi di affetto e dichiarazioni di vicinanza per il suo gesto coraggioso, che è stato interpretato come una rivendicazione di libertà. Libertà di pensiero, di espressione, di azione, nel rispetto di tutti e senza giudicare o offendere nessuno, come ha spiegato anche il padre di Marc, che ha dichiarato al Daily Mail: «Non penso abbia offeso qualcuno. Gesù ama tutti, quindi scrivendo che lui lo ama sulla fascia di capitano non credo che offenda qualcuno e non capisco quale sia il problema. Non si è rifiutato di indossare la fascia, come hanno fatto altri, e penso che la gente dovrebbe concentrarsi di più su questo».
Eppure è evidente che Marc non rischia la squalifica perché ha scritto un messaggio a sfondo religioso sulla fascia, ma perché ha “macchiato” l’arcobaleno, simbolo dell’ideologia LGBT che con questa ennesima campagna avrebbe dovuto prevalere, ancora una volta, sulla libertà di espressione e di credo. A quanto pare, il fatto che una persona annunci un messaggio d’amore, di speranza e soprattutto di fede, stride con la loro ideologia: il nome di Gesù ha dato fastidio, è stato interpretato come una “macchia” sui colori dell’arcobaleno, un tentativo di soffocarne il loro messaggio di inclusione a tutti i costi e alle loro condizioni.
Quando, invece, è l’arcobaleno a macchiare il sacro
Non si parla mai, però, dei casi contrari, ovvero di quando le immagini sacre vengono “colorate” di arcobaleno per fini ideologici, irrisori e denigratori: ovvero degli innumerevoli casi di blasfemia a cui siamo costretti ad assistere quotidianamente, come le immagini di Madonne arcobaleno che vengono fatte sfilare nei gay pride, o, per restare in tema visto che siamo in periodo d’Avvento, i presepi “inclusivi” che rappresentano la natività con due uomini o due donne. Dunque secondo il politicamente corretto e le lobby Lgbtqia+, la blasfemia non è un problema, il nome di Gesù sì: una dialettica a senso unico che rende sempre più manifesti il vero volto e lo scopo principale di chi riesce a convincere sempre più persone a portare avanti questa ideologia.