Quando una famiglia con figli disabili si trova a valutare la possibilità di iscrizione ad una scuola paritaria, con molta facilità può andare incontro a una serie di discriminazioni. Il rischio è una violazione del diritto all’istruzione, all’inclusione e alla libertà educativa. Un dramma silenzioso che molti genitori si portano dietro da anni e che, ciononostante, ha sempre trovato pochissimo spazio sui giornali e nel dibattito quotidiano. Da dove nasce tale ingiustizia? Alla base, c’è la solita spending review, che non risparmia il settore scolastico e di cui a fare le spese sono in primo luogo gli alunni più fragili.
Mentre l’allievo disabile della scuola pubblica statale avrà “sempre” l’insegnante di sostegno garantito, per la scuola pubblica paritaria, le famiglie sono costrette a pagare di tasca propria quello che dovrebbe essere un diritto tutelato a norma di legge. Lo Stato infatti spende quasi 5 miliardi all’anno per gli insegnanti di sostegno, quindi circa 20mila euro per ciascuno dei 285mila studenti disabili iscritti a tutte le scuole statali del Paese. Appena 23,3 milioni, invece, vengono stanziati per i docenti di sostegno delle paritarie, per cui ogni allievo - in tutto 17.461 - ha a disposizione una media di circa 1.716 euro.
Si calcola che a settembre, alla ripresa delle scuole, il 59% degli studenti disabili è rimasto senza insegnante di sostegno. È quello che succede alla famiglia Cilia, residente a Fano (PU), con due figli su tre gravemente disabili. La più piccola, 7 anni, con sindrome di Down e un forte ritardo cognitivo, a scuola non può godere della rete di protezione di cui necessiterebbe. «La scuola pubblica statale non sempre garantisce la qualità della rete di sostegno agli alunni disabili – spiega a Pro Vita & Famiglia, Paolo Cilia –. Per questo, io e mia moglie abbiamo deciso di iscrivere nostra figlia alla paritaria. Ogni minore con disabilità ha bisogno di due figure essenziali: l’insegnante di sostegno e l’assistenza educativa scolastica (profilo ad personam, previsto dalla legge 104). I miei figli hanno diritto al PEI (Piano Educativo Individualizzato), che va redatto congiuntamente da tre componenti fondamentali: la famiglia, gli specialisti e la scuola. Nel nostro caso, è stato stabilito che mia figlia di sette anni, necessita di ventidue ore di sostegno settimanali, che il MIUR è obbligato a fornire. L’educativa scolastica è invece a carico dell’Istituzione Comunale».
L’ingiustizia sorge nel momento in cui, con l’iscrizione alla paritaria, la scuola non garantisce il sostegno, riuscendo a coprire «solo un minimo di fondi». Al resto deve pensare la famiglia dello studente con disabilità che, il più delle volte non è in grado di sostenerne la spesa. «Per noi genitori far funzionare la rete attorno ai nostri figli, ogni giorno è una fatica erculea, siamo completamente travolti dalla burocrazia», aggiunge il signor Cilia. Le famiglie come la sua, costrette a ripiegare sulla scuola statale, subiscono una «discriminazione indiretta», in quanto viene violato il principio costituzionale della libertà educativa (art. 30).
Il motivo per cui Paolo Cilia ha deciso di iscrivere la figlia alla paritaria è stata la disastrosa esperienza da marzo a giugno con la didattica a distanza. «Mentre con mio figlio 16enne ha funzionato molto bene, mia figlia è stata discriminata, alla scuola statale spesso gli insegnanti di sostegno si “imboscano”». Da qui la decisione, al momento dell’iscrizione alla seconda elementare, di optare per un istituto paritario di Fano, tuttavia, «dovremmo pagare di tasca nostra 20mila euro all’anno l’insegnante di sostegno, e per noi è impossibile».
«A livello normativo siamo un paese all’avanguardia – osserva Cilia – ma quando si tratta di investire sulla disabilità e applicarne le leggi, siamo il fanalino di coda. Facciamo leggi bellissime ma i fondi non ci sono mai. Tutti gli ultimi governi, di qualunque colore politico, se ne sono sempre fregati di questo. Le scuole paritarie si comportano bene nel 99% dei casi, però, quando chiedono allo Stato di finanziare le 22 ore di sostegno, lo Stato ne paga soltanto 7. Abbiamo così una violazione del diritto all’istruzione, del diritto all’inclusione, del diritto alla libertà di scelta. Il tutto perché bisogna economizzare sulla scuola… Ci si riempie tanto la bocca di inclusione e di integrazione, due principi più che condivisibili ma se non sono ottemperati dai fatti, rimangono una patinatura e la cosa è ancor più grave. Lo Stato deve mettere le famiglie nella possibilità di scegliere. Se ho un figlio con disabilità, non puoi fargli mancare le risorse fondamentali».
Quello della discriminazione degli studenti disabili è un problema prettamente italiano, pressoché inesistente nel resto dell’Unione Europea. Al punto che lo scorso 10 settembre, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per mancata fornitura di una rete di protezione adeguata a beneficio di una bambina di Eboli, affetta da autismo. La Corte di Strasburgo ha respinto la motivazione dell’avvocatura di Stato, che evocava i tagli draconiani scaturiti dalla legge di stabilità del 2011, accertando, quindi, una discriminazione ai danni di un disabile e una violazione del diritto all’istruzione.