Abbiamo ricevuto una e-mail particolarmente interessante dal direttore di BioEdge, a proposito di un caso giudiziario sul suicidio di un giovane che sta scuotendo gli Stati Uniti.
Una donna in Massachusetts è stata per ora dichiarata colpevole di omicidio involontario in un caso che si inserisce nel dibattito sul suicidio assistito.
Nel 2014 Michelle Carter, allora diciassettenne, intratteneva un rapporto piuttosto morboso col suo fidanzato, Conrad Roy III, di 18 anni: con telefonate e messaggi di testo continui e pressanti lo ha incoraggiato a commettere suicidio, asfissiandosi con il monossido di carbonio nella sua auto.
Definire la loro relazione bizzarra è dire poco. Anche se vivevano solo a un’ora di distanza l’uno dall’altro, si sono conosciuti in Florida durante le vacanze con le rispettive famiglie. Si sono fidanzati, ma poi si sono incontrati fisicamente solo una manciata di volte. Il loro rapporto era fatto di telefonate e di una messaggistica incessante, maniacale. Quando Roy ha manifestato il desiderio di commettere suicidio, Michelle lo ha incoraggiato.
Presa la decisione, Roy si chiuse in macchina per soffocare. Ma quando l’aria gli mancò davvero, l’istinto di sopravvivenza lo indusse ad uscire. Michelle, col telefonino, lo ha convinto a rientrare in macchina e Roy è morto.
Il caso ha destato un dibattito molto vivace, in cui si delineano due scuole di pensiero: la maggior parte delle persone – quelle di buon senso – considerano Roy vittima del bullismo di Michelle. Così il giudice che ha ritenuto la ragazza in dovere di salvare la vita al fidanzato: ella ha agito in modo scorretto e sconsiderato.
Ma altri, i cultori della morte, pur riconoscendo che alcune espressioni usate da Michelle fossero riprovevoli, sottolineano che il Massachusetts non ha alcuna legge contro il suicidio assistito e che le parole non sono proiettili (eppure “Ne uccide più la lingua che la spada”, secondo un proverbio antico...NDR). In quanto parole esse rientrano invece nell’ambito dell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita.
L’Unione Americana delle Libertà Civili, in particolare, ha espresso le sue ragioni a favore di Michelle e ne chiede l’assoluzione: se fosse confermata la condanna, se fosse definitivamente sanzionato il comportamento dell’imputata, la sentenza definitiva [soprattutto in un sistema giudiziario come quello statunitense, basato sui precedenti, NDR], potrebbe far subire una battuta d’arresto al dibattito in corso sul fine vita e sulla morte dignitosa che ciascuno dovrebbe poter assicurare ai propri familiari.
In altre parole, una sentenza definitiva di condanna di Michelle incepperebbe gli ingranaggi della macchina che si sta muovendo per condurre alla legalizzazione del suicidio assistito.
Michael Cook
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