Giovedì 18 giugno, la Camera dei Deputati ha approvato una legge che dà al figlio non riconosciuto alla nascita la possibilità di chiedere al Tribunale dei minori, compiuti i 18 anni, di conoscere l’identità della mamma che l’ha messo al mondo.
La legge ora passa al Senato: anche lì il dibattito sarà acceso.
L’Associazione famiglie adottive e affidatarie critica duramente la prospettiva aperta da questa legge, che prevede anche la possibilità di accedere ai dati dopo il decesso della madre.
Il Comitato nazionale per il riconoscimento del diritto delle origini, invece, ne è ben lieto: «È stata riconosciuta la bontà delle nostre posizioni. La legge approvata alla Camera è equilibrata e permette alle madri che avevano scelto l’anonimato di confermare la volontà di non essere rintracciate ma, allo stesso tempo offre a noi figli la speranza di fare finalmente chiarezza sul nostro passato e di conquistare un tassello fondamentale della nostra identità», dichiara la portavoce ad Avvenire.
La madre potrà comunque esprimere alle autorità una sorta di “veto” ad essere rintracciata.
Noi siamo lieti del fatto che pare ci sia una maggioranza trasversale di parlamentari tendenzialmente favorevoli a riconoscere e tutelare il “diritto alle origini”. Certamente, il primo dei motivi che giustifica la posizione di chi è contro la legge è il fatto che si possa rischiare che aumentino gli abbandoni di bambini per la strada o nei cassonetti. Se le “culle per la vita” fossero più diffuse, questa preoccupazione sarebbe meno assillante. E comunque, quando la madre ricercata dal figlio esprimesse il “contact veto”, la sua privacy sarebbe garantita.
Ad ogni modo confidiamo che questa maggioranza trasversale favorevole al “diritto a conoscere le proprie origini” sia ben convinta.
Speriamo fortemente, infatti, che se ne ricordi quando andranno a legiferare sulla fecondazione eterologa: se saranno coerenti dovranno vietare l’anonimato dei venditori di gameti.
Redazione