Secondo la giornalista e opinionista Hoara Borselli, raggiunta telefonicamente da Pro Vita & Famiglia, l’imbrattamento della sede di Pro Vita & Famiglia - avvenuta lo scorso 26 novembre ad opera di alcune femministe - dimostra il vero punto debole delle nuove femministe: la difficoltà nell’esprimere idee costruttive che non siano “contro” qualcuno.
Ascolta "Sede Pro Vita vandalizzata. Borselli: «Femministe vogliono silenziare chi la pensa diversamente»" su Spreaker.Hoara Borselli, le rivendicazioni di questa nuova generazione di femministe sono al passo coi tempi o, ormai, fanno leva su slogan ormai usurati?
«Innanzitutto, non stiamo parlando di manifestazioni che si possono definire pacifiche, visto che ha avuto luogo un assalto alla sede di Pro Vita & Famiglia. Abbiamo visto che, in queste occasioni, gli atteggiamenti sovversivi sono ricorrenti. Io ritengo che sia sempre giusto manifestare, che si possano avere idee differenti. La libertà di espressione va sempre bene, purché sia esercitata in maniera pacifica. Al di là dei contenuti, però, non potrei mai avallare espressioni di violenza come quelle che abbiamo visto».
Accennava all’aggressione alla sede di Pro Vita & Famiglia: che peso dare a questo ennesimo segnale di ostilità?
«Ho visto le femministe scendere in campo per battaglie anche molto ideologiche, penso a quella contro gli Alpini. Le femministe di oggi mi sembra portino avanti battaglie che non vanno alla sostanza delle cose. Si possono non condividere le idee portate avanti da Pro Vita & Famiglia, si può manifestare ma non con quell’atteggiamento. Fare un attacco violento alla sede di un’associazione, equivale a volerla silenziare. Credo che, in una democrazia, tutte le idee abbiano diritto di cittadinanza e che, anche se non si condividono, si deve comunque rispettarle: questo è il principio base. Per contro, posso non condividere moltissime delle posizioni di Non una di meno ma non per questo mi salterebbe mai in mente di andare davanti alla loro sede e vandalizzarla. Posso esternare le mie idee in mille modi ma mi sembra che questi atteggiamenti qualifichino più loro che chi subisce questi gesti».
Aggredire le sedi di chi porta avanti idee diverse è un segno di debolezza?
«La violenza è sempre un segno di debolezza. Quando qualcuno pensa che, in fondo, la propria parola non abbia un peso, allora tira fuori la violenza. Quindi, dimostra il fallimento della propria capacità di esprimere un messaggio. Chi fa così, ha bisogno di mettere in campo la forza – che, in realtà, lo ribadisco, è un segnale di estrema debolezza – pur di farsi sentire. Evidentemente credono che questi gesti siano necessari per poter avere quei riflettori puntati che evidentemente non riuscirebbero ad ottenere, se si esprimessero in maniera civile».
Il linguaggio di queste nuove femministe è condito di slogan ed espressioni, come ad esempio “patriarcato”, che vengono a significare tutto e il contrario di tutto. Secondo lei, dove vogliono arrivare?
«Dicono che vogliono condannare Dio, Patria e famiglia. Io mi sono sempre chiesta: per quale motivo? Siamo da sempre un Paese cristiano e su questo non mi sembra ci sia da rivendicare nulla. La Patria credo debba essere un motivo di grande orgoglio e tutti noi dovremmo rivendicare questo valore, recuperando quel patriottismo che, negli anni, si è perso. Non si può più dire, infine, la parola famiglia: automaticamente vieni insultato ed etichettato come persona che non è al passo coi tempi. Ormai la sola parola famiglia diventa quasi un abominio, non si può più rivendicare questo valore fondante, altrimenti sembra si possa offendere qualcuno. Se eliminiamo anche questo dalla nostra vita, non ci rimane più nulla. Io credo che la famiglia sia il cardine che tiene in piedi una società, quindi, con orgoglio, dobbiamo tenere in piedi questo valore e portarlo avanti. Con queste loro battaglie, invece, le femministe vorrebbero eliminare questa parola dal nostro vocabolario, così come si vuole eliminare la parola “mamma” e imporre genitore 1 e genitore 2: vogliono farci diventare delle sigle! A me sinceramente tutto questo spaventa molto: andiamo a cancellare i fondamenti della nostra vita, in nome di una modernità in cui personalmente non mi riconosco. Ci sono stati, è vero, dei cambiamenti sociali ma non venitemi a dire che la parola famiglia deve essere abolita».
In fondo, tra i tanti diritti rivendicati per le donne, non potrebbe benissimo esserci quello a metter su famiglia?
«Una donna dovrebbe essere lasciata libera se mettere su famiglia o meno: dev’essere una sua scelta. Non deve essere però considerata da meno chi sceglie la famiglia. Ciò che è più preoccupante è che il concetto di famiglia in sé è diventato stretto. Non capisco perché queste donne vogliano combattere questo principio, non vedo cosa ci sia di offensivo. Se tu parli di famiglia “tradizionale”, sei considerato una persona che sta discriminando qualcuno. Chi la pensa così, però, a sua volta, discrimina chi ha un concetto diverso. Credo sia giusto rispettare tutti: alcune cose potranno non essere condivise ma un rispetto di base è fondamentale. Oggi, purtroppo, dire: “io credo fortemente nel concetto di famiglia” diventa qualcosa da combattere. Questo io lo ritengo estremamente preoccupante».