23/08/2018

Selfie e dismorfia: è allarme (finché l’Oms non derubrica)

La “dismorphia da Snapchat (*) è il nome che i media hanno dato a una nuova pazzia che si va diffondendo tra i giovani e i giovanissimi, e in genere tra i patiti di selfie.

L’allarme è stato lanciato dai chirurghi plastici che hanno pubblicato uno studio sul JAMA Facial Plastic Surgery. Gli autori, della Scuola di Medicina dell’Università di Boston, scrivono che prima i pazienti portavano le foto di personaggi celebri cui volevano somigliare, oggi chiedono sempre di più di somigliare a versioni ritoccate di se stessi.

Nel 2015 il 42% dei chirurghi hanno ricevuto richieste del genere; nel 2017 il 55%.

Dice l’articolo che la cosa è ancor più preoccupante perché spesso quei selfie ritoccati – grazie ad app facilmente reperibili da tutti e postati in continuazione sui social – sono impossibili da realizzare in concreto. I selfie “perfetti” diventano un pericolo per l’autostima e provocano quindi disordini dismorfici del corpo. E ovviamente i soggetti più a rischio sono gli adolescenti e coloro che già sono inclini alla disforia e alla depressione. Le persone perdono la percezione della realtà e della fantasia: per questi pazienti gli Autori consigliano caldamente non  la chirurgia estetica, ma gli interventi di un bravo psichiatra, una terapia comportamentale cognitiva ed eventualmente dei farmaci di supporto. Insomma, questi maniaci dei selfie rischiano di sviluppare una dismorfia corporale grave (BIID, Body Integrity Identity Disorder), che va trattata per quello che è: una malattia psichiatrica.

A noi pare che ci sarebbe un modo per evitare di cadere in una trappola del genere: educare all’essere, e non all’apparire. È tremendamente difficile, in una società del consumo, dell’effimero e del “bello a tutti i costi”, come la nostra. Ma tutti gli educatori e le agenzie educative dovrebbero farsi carico del problema e dovrebbero andare controcorrente. Una Tv di Stato come la Rai, per esempio, visto che spende denari pubblici, dovrebbe essere in prima linea su un fronte educativo del genere. Ma con i tempi che corrono questa è una pia illusione. Forse anche perché non esistono più attrici come Anna Magnani, che pare una volta disse al suo truccatore: «Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele venire».

A pensarci bene, però, forse non dovremmo preoccuparci di questa nuova pazzia. Presto qualcuno vieterà le terapie per curare la dismorfia da selfie. Qualcun altro obbligherà per legge le scuole a chiedere ai ragazzini come vogliono essere e a indicare loro presso quali chirurghi rivolgersi (a spese del Ssn, certamente), senza far sapere niente ai genitori. E infine, interverrà l‘Oms a cancellare la dismorfia corporale dall’elenco dei disturbi psichiatrici.

Il problema, così, sarà risolto.

Francesca Romana Poleggi

*Snapchat è il nome di un nuovo servizio di messaggistica istantanea che consente di pubblicare foto e post che scompaiono nel giro di un tempo breve, o brevissimo, deciso dal mittente.

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