08/04/2013

Sesso (in)sicuro

Gli studi statistici confermano che il condom non è sufficiente per evitare le malattie veneree

3297 soggetti intervistati nell’arco di 12 mesi, riferite 9304 relazioni sessuali con il partner principale e altre 6793 con partner occasionali, uso del preservativo almeno una volta rispettivamente nel 53-66,6% dei casi; nel 29,9-39,1% dei soggetti almeno una volta il preservativo si è rotto, sfilato, o non è stato usato dall’inizio alla fine del rapporto. Sono questi i numeri dello studio RESPECT-2, condotto su soggetti seguiti presso ambulatori di malattie sessualmente trasmesse appena pubblicato sulla rivista Sexually Transmitted Diseases. Queste cifre confermano un quadro ormai ben delineato: pensare di contrastare l’espandersi delle malattie a trasmissione sessuale con la diffusione del lattice vulcanizzato è una chimera. Questo se si vuole rimanere sul piano della scienza, se invece si entra in un contesto ideologico, allora tutto cambia, giacché la logica insegna che ex falso quodlibet (dal falso quel che piace). In realtà se ai proclami saccenti sparati nel ventilatore mediatico si sostituisse un pizzico di maggiore serietà, di cautela, di umiltà e ad esempio si leggesse la letteratura scientifica, se ne analizzassero i risultati, si tenesse conto del lavoro di scienziati che studiano il comportamento umano, allora le cose andrebbero un po’ meglio. Riguardo all’ultimo aspetto infatti sono ormai stati acquisiti molti dati a supporto di modelli comportamentali descritti dalla planned behavioural theory e dal rational choice model. La prima afferma che le persone tendono a seguire quel comportamento che precedentemente avevano stabilito di fare sulla base di un mix formato da attitudine personale, percezione sociale e conseguenze previste. La seconda prevede che i comportamenti tendono a modificarsi sulla base del rapporto rischio/beneficio percepito. Nel campo della sessualità la promozione di pillola e preservativo per ottenere il cosiddetto “sesso sicuro” veicola un messaggio banalizzante riguardo alla sessualità (il sesso è un fatto di puro piacere) e deresponsabilizzante perché fa credere che si possa demandare tutto alla tecnica. Spesso ci si accorge troppo tardi che si tratta di una pubblicità ingannevole. Negli Stati Uniti soltanto l’8% delle donne che abortiscono non hanno mai usato la contraccezione. In Francia, una delle nazioni dove l’ideale contraccettivo è stato pervicacemente perseguito da un efficiente sistema di promozione, controllo e pianificazione statale, dopo 4 anni di utilizzo il 48% delle donne interrompono l’assunzione della pillola e due terzi delle adolescenti che abortiscono sono rimaste incinte perché il contraccettivo ha fallito, percentuali che si inseriscono in una cornice impressionante di oltre duecentomila aborti ogni anno. Nel difendere l’enciclica Humanae vitae che ribadiva l’illiceità della contraccezione, la filosofa Elizabeth Anscombe scrisse in un saggio del 1972: “La Cristianità ha insegnato agli uomini ad essere casti così come i pagani pensavano dovessero esserlo le donne oneste; la morale contraccettiva insegna che le donne devono essere poco caste così come i pagani pensavano dovessero esserlo gli uomini”. Tutto qui.

di Renzo Puccetti

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