Nei giorni scorsi la metropolitana di Milano è stata invasa da manifesti promossi dalla serie TV Sex Education, difficilmente distinguibili da una pubblicità pornografica.
Si tratta di una serie di immagini storpiate in modo tale da assomigliare ai genitali maschili e femminili. Ad accompagnarle è la scritta “se la/o vediamo in forme diverse è perché non ce n’è una sola. Ognuna è perfetta, anche la tua”. Come se l’accettazione di sé dipendesse solo dagli organi sessuali che si hanno.
D’altronde i sostenitori di questa campagna non hanno esitato a scaldare gli animi per etichettare come “bigotto” chiunque abbia espresso qualche perplessità al riguardo.
E’ necessario sottolineare che più che focalizzare l’attenzione sui manifesti in sé, occorre interrogarci sulle conseguenze che il messaggio porta alla società, in particolar modo tra i giovanissimi.
Sin dall’inizio della serie l’attenzione dello spettatore piomba in scene di sesso estremo condite da un linguaggio scurrile e zeppo di parolacce, tradimenti e rapporti disordinati e infarciti di ideologia LGBT. Personaggi che cambiano orientamento sessuale da un giorno all’altro e senza una precisa ragione, spinti da una forte confusione interiore. Un insegnamento tutt’altro che educativo.
Più che una perplessità rivolta ad una sessualità forzata ed estrinseca, sarebbe utile cercare di comprendere quali siano le conseguenze sociali che l’insegnamento profondamente diseducativo di Sex Education pone nei confronti di essa. Il focus del film dichiara di concentrarsi sull’accettazione di sé. Eppure per tutta la durata delle tre stagioni il sesso è posto al centro di ogni cosa. Quando in realtà l’accettazione di sé dipende da molteplici fattori, siccome (e per fortuna) le relazioni umani sono fatte anche di molto altro. Il sesso viene presentato su un piatto d’argento come qualcosa da concedere a chiunque, pur di trarne piacere, piuttosto che interrogarci su chi abbiamo davanti.
Inoltre, nel film non mancano numerosi riferimenti a PornHub, che in maniera subliminale tendono a invitare i giovanissimi a lasciarsi travolgere dall’inferno a luci rosse che si cela nella pornografia, soprattutto in quella online. Un mondo virtuale ed illusorio, in cui tutto è finzione e l’amore non esiste, in cui si trascina lo spettatore ai limiti dell’immaginazione, in una dimensione sub-umana che non ha nulla a che vedere con la realtà. In sintesi, passa un messaggio distorto e lontano anni luce dall’amore vero.
L’affettività è mostrata come un mezzo per colmare tramite il sesso il vuoto creato dalla nostra società. Un vuoto che avrebbe bisogno di dialogo, comprensione ed empatia, anziché del fare dei nostri corpi uno strumento usa e getta.
Da questo calderone di enigmi irrisolti emerge una retorica totalmente priva di amore. La contraccezione è posta come un mezzo di deresponsabilizzazione delle proprie azioni, con noncuranza del fatto che nella quasi totalità dei casi in cui una gravidanza ha inizio è perché è stata preceduta da un’azione consenziente.
La vera educazione sta nell’insegnare ai giovani che nel momento in cui si decide di avere un rapporto ci si assumono precise responsabilità. Ecco, invece, che nella prima stagione di Sex Education si ha modo di assistere anche alla scena di un aborto. E’ così che questa sessualità forzata e distorta dalla realtà sfocia in un disprezzo totale per la vita. Ma non solo, anche della maternità. Colpisce particolarmente la figura di una donna che abortisce, che si è appena risvegliata nel gelo di una clinica, vuota con il suo niente, che dichiara: «meglio non essere madre, che una pessima madre». Una frase infarcita di menzogna da cui traspare una sacrosanta verità che sottolinea come la morte nell’odierna società venga presentata come la soluzione ad ogni cosa.
Possiamo ben immaginare i risvolti drammatici che una simile pseudo-educazione può avere nella società, dall’aumento di relazioni vuote e insoddisfacenti a quello che rischia di diventare un aumento drammatico anche del numero di aborti. Più relazioni disordinate hanno un’altissima potenzialità di aumentare il numero di figli “non voluti”. Un dramma che rischia di gettare le proprie ripercussioni soprattutto tra i giovanissimi, ai quali andrebbe insegnato a vivere in maniera libera e spensierata la loro età e i loro amori, anziché accanirsi a creare problemi che non esistono per mezzo di una sessualizzazione violenta e precoce imposta dai giganti dei social media o dello streaming, come Netflix. Infatti, non dimentichiamo che tempo fa la piattaforma ha rifiutato di mettere in programma Unplanned, che racconta la storia vera di Abby Jhonson, ex dirigente di Planned Parenthood e oggi instancabile attivista pro-life.
Si percepisce, inoltre, una violenta imposizione contro la libertà di scelta educativa dei genitori, vista come un retaggio culturale e non più un bene in grado di indirizzare i figli sulla retta via. Inoltre dalle serie si evince un’immagine falsata dei pro-life, etichettati come retrogradi e analfabeti, quando dovremmo ricordarci che nel nostro paese oltre il 70 per cento dei medici sono obiettori. Dunque anche loro sarebbero retrogradi e analfabeti?
E’ nostra cura scegliere se preferire di aprire le nostre porte alla cultura della morte, al disprezzo totale di sé e degli altri, oppure se cogliere l’invito al rispetto di se stessi, della vita e dell’umanità.