Niente aborto in Sierra Leone.
Il presidente dello Stato africano, Ernest Bai Koroma, ha rifiutato di firmare un disegno di legge sulla legalizzazione dell’aborto (il Safe Abortion Act), affermando che dovrebbe essere sottoposto a referendum. Non è la prima volta che accade.
A riferirlo è il sito della Bbc.
Il provvedimento, unanimemente approvato dai parlamentari nel dicembre scorso, era già stato fermato dal presidente Koroma a seguito delle proteste dei leader religiosi.
Dopo nuove consultazioni, il mese scorso il Parlamento ha nuovamente presentato la legge così com’era, senza alcuna modifica. Ma Koroma si è rifiutato di firmarla ancora una volta, preferendo che su un tema così delicato sia il popolo ad esprimersi.
La normativa permetterebbe alle donne di abortire fino a 12 settimane di gravidanza. Nei casi di incesto, stupro e malformazione del feto l’aborto sarebbe invece possibile fino a 24 settimane.
Attualmente, in Sierra Leone l’omicidio dei nascituri è illegale in qualsiasi circostanza.
Ovviamente, i vari gruppi per i “diritti umani”, tra cui Human Rights Watch, Amnesty International, ed altre cinque organizzazioni della Sierra Leone, hanno scritto al presidente Koroma invitandolo a dare il suo assenso al disegno di legge.
Non sia sa bene quali diritti pretendano di difendere queste associazioni, visto che legalizzare l’aborto significa ammazzare esseri umani innocenti, provocare traumi nelle donne e sottomettersi alle pressioni degli organismi internazionali e dei potentati finanziari, che vogliono imporre all’Africa, ricattandola, misure contraccettive e di sterilizzazione per impedire la crescita della popolazione (vedi, tra i tanti esempi, qui).
Tra i motivi addotti per giustificare la necessità dell’aborto legale c’è sempre l’alto numero di donne che abortiscono clandestinamente, con gravi rischi alla salute: chissà se sparano le stesse panzane che propalavano qui negli anni ’70...
L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che la Sierra Leone è il Paese con il più alto tasso di mortalità per parto del mondo: quindi invece di destinare risorse ed energie per l’aborto, si destinino per la salute delle partorienti e delle puerpere, con strutture sanitarie attrezzate e competenti.
Non serve certo introdurre una legislazione abortista. I problemi dell’Africa non si risolvono riducendo il numero di abitanti, ma favorendo un sistema politico-economico sano, capace di autosostenersi. Concetti, questi, espressi anche dall’arcivescovo cattolico Tamba Charles, vice-presidente dell’Inter Religious Council of Sierra Leone (IRCSL).
Redazione