In una società che spinge all'aborto, piuttosto che vedere al mondo un bambino con sindrome di down (basti pensare alla dichiarazione dell'etologo inglese Richard Dawkins, per cui far nascere un bambino con la sindrome di down sarebbe "altamente immorale"), notizie come queste che proponiamo di seguito non possono che farci piacere.
Uno degli errori più comuni sulle persone con sindrome di Down, infatti, è pensare che siano condannate all'infelicità totale, che non potranno mai raggiungere i loro obiettivi ed avere una vita normale.
Niente di più falso e le esperienze di vita di questi ragazzi lo insegnano.
La prima che vorremmo portare all'attenzione è quella che ha coinvolto Arianna Sacripante, atleta di nuoto sincronizzato con sindrome di down, medaglia d'oro ai Trisome Games del 2016. Durante il mese scorso, precisamente il 21 agosto, è scesa in acqua insieme al campione olimpico Giorgio Minisini, quattro medaglie d'oro vinte nei giorni precedenti, durante il Gala Event, la festa di chiusura degli Europei al Parco del Foro Italico.
Due grandi atleti ed amici che non possono gareggiare insieme nelle competizioni ufficiali, ma che hanno voluto mostrare quale potrebbe essere il volto dello sport del futuro, se gli atleti disabili gareggiassero insieme agli altri.
Minisini ha così commentato quanto accaduto: «Visto il periodo che stiamo attraversando vogliamo richiamare l’attenzione verso il sogno di un mondo più pulito, più inclusivo e che pensi un po’ di più ai deboli».
I due atleti si erano esibiti insieme anche nel 2018 in Giappone, in occasione del Para Syncronized Swimming Festival. Il loro connubio è nato quattro anni fa grazie al Progetto Filippide, un'associazione che permette ad atleti con disabilità cognitive di avvicinarsi al nuoto.
Lo spirito dell’associazione è quello di dimostrare come lo sport possa diventare uno strumento funzionale all’acquisizione di una propria autostima, a migliorare le proprie autonomie personali, all’integrazione sociale.
Il secondo esempio che vorremmo riportare è quello di Gianluca Spaziani, un ragazzo anche con Sindrome di Down, che si è laureato in lettere all'Università di Palermo nel 2016. Gianluca racconta di essersi diplomato ad un liceo classico di Palermo, di aver avuto sin da adolescente la passione per il teatro e che spera di poterla trasformare in professione per il futuro. Ha raccontato, in un'intervista di alcuni anni fa, di essersi dispiaciuto molto quando una professoressa universitaria, alla prima lezione, dopo essersi presentato, disse in sua presenza alla tutor: «Non capisco perché le famiglie si ostinano ad iscrivere questi ragazzi all'Università».
Gianluca ha raccontato: «mi sono così dispiaciuto che non ho saputo rispondere, ma oggi vorrei dire che " questi ragazzi " sono studenti come gli altri e che non si può dare un giudizio a qualcuno senza nemmeno conoscerlo; io sono consapevole di avere dei limiti, come tutti del resto, ma i miei genitori mi hanno sempre spiegato che chiunque di noi deve guardare a quello che sa e può fare e i risultati si ottengono».
Oggi in Europa più della metà dei bambini con Sindrome di Down non è mai nata a causa della "cultura" di morte che ormai regna sovrana: i più deboli, "i diversi" devono essere eliminati perché sono un "peso" per la società.
Nicole Orlando, atleta paralimpica, ha chiesto al medico abortista islandese Stefansson perché vuole uccidere bambini come lei, ossia con Sindrome di Down.
Questa stessa cosa vorremmo chiederla ai medici che spingono le donne all'aborto o ad optare per i test di screening natale con lo scopo di capire se il bambino possa avere o meno la Sindrome o malattie genetiche. Provate a chiedere a Gianluca o a Nicole o ad un qualunque altro ragazzo con la Sindrome di Down che cosa ne pensa della sua vita o se preferiva che la madre lo avesse abortito.
Sentiamo cosa risponderanno. E speriamo che i sostenitori dell'aborto e dell'eliminazione dei bambini ascoltino.