03/07/2013

Storia di Chet, l’uomo senza braccia che gira l’America per raccontare che perfezione non è sinonimo di felicità

A causa della sua disabilità i medici volevano dargli «l’opportunità di morire». I genitori scelsero altrimenti e oggi è un testimonial pro life che gira gli States per narrare la sua vicenda

Non c’è nulla di più scomodo di vedere felice un uomo senza braccia che volevano lasciar morire alla nascita. Ancor peggio se quell’uomo gira gli Stati Uniti, che contano quasi 60 milioni di aborti in 40 anni, e dice queste parole: «Non sono perfetto, ma ho un valore».

FARE LE VECI DEL CAPO. È accaduto ancora alla National Right to Life Convention 2013, il meeting pro life americano concluso sabato a Dallas. È qui che Chet McDoniel ha ripetuto la sua storia. Chet nasce nel 1980, è il terzo di tre fratelli. Quando venne al mondo «mi diedero “l’opportunità” di morire», spiega con il sorriso sulle labbra. «Siccome ero malato fuori, i medici pensarono che potessi esserlo anche dentro».
Fu solo grazie all’opposizione dei genitori che Chet nacque. Nelle sue testimonianze, l’uomo lo sottolinea sempre per spiegare che «non c’è compito più vicino a quello di Dio di proteggere un bambino che non può farlo da sé». È grazie a questa cura amorevole che un disabile riesce a superare i momenti difficili, le prese in giro e le crudeltà di chi non capisce. È questo il segno che «Dio non dimentica chi soffre e le loro famiglie».
Il giovane si è laureato con il massimo dei voti alla University of North Texas nel 2002, ha un’agenzia di viaggi, una moglie e due figlie e gira l’America raccontando la sua storia. Ma anche non fosse arrivato sin qui, non sarebbe stato meno felice, perché ciò che salva una vita, ha spiegato, «è l’amore: è quando condividi la verità nella carità che salvi un’anima». E «quando salvi una vita, salvi una generazione di vite».

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di Benedetta Frigerio

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