La battaglia per la libertà educativa non è a vantaggio delle “scuole per ricchi” ma, piuttosto, serve a tutelare il diritto più importante: l’accesso universale all’istruzione. È per questo motivo, che una molteplicità di associazioni hanno presentato un nuovo appello al Governo, affinché, nel “Decreto Agosto” sia ripresentato l’emendamento per deduzione integrale delle rette pagate per le scuole pubbliche paritarie. A colloquio con Pro Vita & Famiglia, suor Anna Monia Alfieri, uno dei principali portavoce del movimento, che ha preso forma intorno agli hashtag #Noisiamoinvisibiliperquestogoverno e #Liberidieducare, ha spiegato i termini della questione.
Suor Anna Monia, nei mesi scorsi, in qualità di associazioni che si battono per la libertà di educazione, avete chiesto e ottenuto il raddoppio del fondo destinato alle scuole paritarie. Ora, in un nuovo appello, avete formulato un’ulteriore richiesta. Di che si tratta?
«Quello che chiediamo al Governo non è di salvare le scuole paritarie ma di tutelare il diritto all’istruzione. Indubbiamente va ribadito che il 30% delle paritarie probabilmente a settembre sarà chiuso e 300mila alunni rimarranno senza scuola. Il problema è che la maggior parte di loro rischiano di non trovare nuovi istituti disponibili, perché nelle zone dove abitano, non ci sono scuole né statali, né paritarie o, se ci sono, sono già piene. Già 160 giorni fa avevamo mandato centinaia di lettere al governo, per dire che a rischio non erano soltanto le paritarie ma la scuola tutta. Per assorbire quei 300mila allievi, lo Stato dovrebbe spendere ulteriori 2,4 miliardi di euro: abbiamo stimato questa cifra grazie a uno studio condotto assieme all’Istituto Bruno Leoni, autorevole per la sua scientificità e liberalità. Non è però questa la strada da percorrere».
Che soluzione avete quindi proposto?
«La soluzione è nel concedere alle famiglie degli allievi delle paritarie la deducibilità integrale della retta pagata in tempi di coronavirus, utilizzando come tetto massimo i costi standard di sostenibilità per allievo, che sono pari a 5500 euro. Di questi tempi, il governo non può permettersi di buttare dalla finestra 2,4 milioni di euro. I sette milioni di ragazzi che vanno alla statale costano 8500 euro l’anno a testa. I 900mila allievi delle paritarie, invece, costano allo Stato soltanto 500 euro l’anno a testa. Con il sistema della deducibilità integrale si potrà scegliere liberamente tra scuola statale e paritaria e si innalza il livello qualitativo di tutte le scuole, sotto lo sguardo di uno Stato garante. Questo è un metodo diffuso ormai in tutta Europa, tranne che in Italia. Mentre i paesi che trent’anni fa uscivano dal comunismo hanno scelto saggiamente di investire in una sana collaborazione tra pubblico e privato per non ricadere nel regime, l’Italia, che ha una democrazia più “antica”, si è permessa il lusso di fomentare un dualismo tra pubblico e privato, che, in realtà cela la solita guerra intestina tra Stato e Chiesa. La nostra è una battaglia diventata a poco a poco trasversale. All’inizio era solo il centrodestra che sosteneva le paritarie, poi anche PD, LEU e IV hanno compreso. Il M5S ha continuato a lungo a contestare le paritarie, definendole dei “diplomifici”. Adesso, però, finalmente, anche loro, grazie alla forza dei numeri, hanno ammesso che “anche la scuola paritaria è pubblica” e che la libertà educativa è un valore. In questi 160 giorni siamo riusciti a fare un lavoro che in vent’anni nessuno era riuscito a fare».
Abbiamo accennato ai risvolti economici dell’emergenza scolastica. Sul piano sociale quali sono i rischi più grossi?
«Con la didattica a distanza, ci sono un milione e 600mila alunni che non vengono raggiunti. Sono i ragazzi poveri, extracomunitari o italiani che vivono nelle periferie del Centrosud. Nelle regioni economicamente più avvantaggiate, come la Lombardia o il Veneto, la didattica a distanza ha funzionato, quindi siamo di fronte a un sistema sempre più discriminatorio. Al Sud, invece, non ripartendo la scuola, i ragazzi rischiano di essere consegnati alla mafia e alla camorra. Abbiamo poi 300mila alunni disabili di cui non parla nessuno e che durante la DAD hanno vissuto una situazione di isolamento e stanno scoppiando loro e le famiglie. Se non riparte la scuola, molte donne con figli in età prescolare sono condannate a rinunciare al lavoro: così vengono bruciati anni di emancipazione femminile. Pochi ne parlano ma a settembre la capacità di spesa della famiglia media si ridurrà del 5%, molti perderanno il posto di lavoro. Oggi è una povertà percepita, a settembre sarà una povertà reale. Sono allarmi chiari, che abbiamo lanciato al governo 160 giorni fa. C’è poi il problema delle “classi pollaio” e dei docenti che scarseggiano. Già a marzo si sapeva che almeno 5000 cattedre erano scoperte. I docenti mancano perché, innanzitutto, sono stati firmati gli accordi di mobilità, quindi i docenti meridionali che insegnavano al Nord sono tornati a casa. Oggi abbiamo tante cattedre scoperte al Nord e gli insegnanti del Sud non torneranno al Nord sia per via del Covid, sia perché con 1000 euro non mangiano e non vivono. Anche per questo è importante aiutare le scuole paritarie con quote pari a costi standard che permettano alle famiglie di iscrivere i figli alla scuola che desiderano. Lo Stato ci guadagnerebbe: si risparmiano soldi pubblici, si permette alle madri di tornare serenamente al lavoro e, finalmente, si stabilisce un sistema scolastico integrato, con piena libertà di scelta tra scuola statale e paritaria. Un milione e 139mila alunni rischiano di non avere accesso a scuola. Chi rimarrà fuori, sarà costretto alla didattica a distanza. Quando il ministro Azzolina ha detto che la scuola ripartirà in parte in presenza e in parte a distanza, ha affermato una verità che avremmo dovuto cogliere subito».
Qual è la posta in gioco più importante al momento per la scuola italiana?
«A settembre, forse la scuola ripartirà ma sicuramente non ripartirà il diritto all’istruzione. Stiamo parlando di un diritto sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e da numerosi atti internazionali. Il diritto all’istruzione va garantito per tutti, senza discriminazioni economiche, in modo libero, gratuito e necessario, per permettere a tutti i cittadini di partecipare tutti alla vita sociale e di avere pari opportunità. Questi sono i veri temi che un Governo dovrebbe avere a cuore, non i banchi con le rotelle… Già in precedenza l’Italia aveva un sistema scolastico iniquo ma la cosa grave è che, se l’istruzione diventa un privilegio per pochi, abbiamo già definito chi, in una società, è destinato a comandare e chi ad obbedire».