La linea è molto chiara: la collaborazione tra scuola statale e paritaria è l’unica strada per salvare il diritto all’istruzione. In modo particolare, vi sono tre ostacoli da superare: l’inadeguatezza dei trasporti scolastici, la penuria di aule e quella di docenti. Si tratta di tre problematiche che non nascono certo con l’emergenza Covid ma adesso non ci sono più alibi. Sul punto si è espressa suor Anna Monia Alfieri, referente scuola per l’Unione dei Superiori Maggiori d’Italia. Recentemente intervenuta sul tema in occasione del 60° Convegno Nazionale degli Economi di Comunità (CNEC), a colloquio con Pro Vita & Famiglia, la religiosa ha ribadito la sua posizione.
Suor Anna Monia, nel suo intervento al 60° CNEC, lei ha denunciato le crescenti disuguaglianze del sistema educativo italiano. Qual è lo scenario generale?
«L’emergenza Covid ha costretto tutti quanti a convenire sulla realtà del nostro sistema scolastico. Ha cioè dimostrato che la scuola statale, che spende 8500 euro all’anno per alunno, sostanzialmente esclude poveri e disabili, con le aule e i docenti che mancano, mentre i mezzi di trasporto sono insufficienti. Tutte queste penurie le avevamo già denunciate in tempi di pre-pandemia e le abbiamo fortemente ribadite nei mesi del lockdown. Abbiamo ricordato al premier Conte e alla ministra Azzolina: attenzione, con il Covid, i nodi stanno venendo al pettine. Ormai il problema non è tanto la scuola paritaria, è la statale che quest’anno non è ripartita. I tre problemi che ho menzionato – aule, docenti e mezzi di trasporto – sono un’eredità dei precedenti governi ma noi dell’USMI e del CISM abbiamo servito al governo su un piatto d’argento la soluzione, peraltro condivisa dai vari sindacati e associazioni».
Quale soluzione?
«Bisogna fare come avviene nel resto d’Europa da almeno vent’anni, cioè innescare dei processi virtuosi tra le nostre 40mila scuole statali e le 12mila paritarie. Ce lo insegna la laica Francia, ce lo insegnano i paesi usciti dal comunismo: la collaborazione tra pubblico e privato risolve sia il problema delle strutture, sia quello dei trasporti. Anziché costringere i bambini delle periferie a prendere l’autobus per recarsi in scuole lontani da casa, li si iscrive a scuole paritarie più vicine. Secondo i costi standard, ogni allievo costerebbe 5500 euro l’anno e non 8500. Attribuendo la quota capitaria agli studenti in esubero, si può permettere loro l’iscrizione alle paritarie, facendo risparmiare 5 miliardi di euro al sistema educativo nazionale ed evitando di dover tagliare sulla carta igienica, sulle mura o sui dipendenti. Solo così può ripartire la scuola. Finora è ripartita a macchia di leopardo, ovvero soltanto in regioni come la Lombardia o il Veneto, dove il pluralismo è sempre stato sostenuto da politiche come il buono scuola, o anche in Liguria e Piemonte che residualmente lo favoriscono. Nelle regioni del Sud e nelle periferie le cose, purtroppo, stanno molto diversamente. La soluzione, quindi, è molto semplice e non mi capacito del perché non venga adottata. Attualmente vi sono 285mila studenti disabili che – è terribile dirlo – sono costretti a casa perché manca il docente di sostegno».
E qui veniamo al terzo grosso ostacolo da rimuovere: la penuria di docenti…
«Qui si apre un altro grosso capitolo: abbiamo una domanda di docenti che non incontra l’offerta. Abbiamo docenti disponibili in alcune discipline ma manca la cattedra. Molti docenti sono del Sud ma le cattedre libere sono al Nord. Si tratta di un problema di vecchia data ma bisogna risolverlo con un censimento che incontra domanda e offerta. E allora, banalmente, perché tutto ciò non si fa? Io credo sia per pura idiozia culturale. Se il governo non si decide a trovare la soluzione, si schianterà ancora contro un muro e non sarà certo la diffusione di un vaccino a risolvere il problema. La scuola del post-Covid non può essere certo quella di prima. Se non si trovano queste benedette linee di finanziamento si rischia di trasformare il diritto all’istruzione in un privilegio. E in questo momento, di fatto, dati alla mano, in Italia, l’istruzione è già un privilegio».
Chi sono i più discriminati?
«La scuola è diventata un privilegio nel momento in cui esclude i poveri e i disabili. È ripartita a macchia di leopardo, a doppia velocità e a doppia carreggiata. Il diritto all’istruzione è un diritto universale, libero e gratuito, garantito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, perché favorisce la partecipazione di tutti alla vita civile, la tolleranza, l’integrazione e la pace tra i popoli. In queste ore, tutto quello che il premier può fare è sollecitare il Parlamento (che, almeno a parole, finora, ha dimostrato grande trasversalità) a istituire una collaborazione tra istruzione statale e paritaria, dai trasporti alle scuole, altrimenti si macchierà di un dramma senza precedenti. Lo abbiamo già ripetuto varie volte: il problema non sono i banchi a rotelle, né i contagi. Il problema è il milione e 600mila studenti non raggiungibili dalla didattica a distanza, che esclude i poveri e i disabili. La maggior parte dei genitori, da parte loro, deve lavorare, è evidente che non possono permettersi di rimanere in casa a turni per seguire i figli nella didattica a distanza. Dobbiamo far capire ai genitori di tutta Italia che la scuola non riparte per colpa del Covid ma di un’idiozia culturale che rischia di essere particolarmente distruttiva».