“Una società ha davvero perso la rotta quando esclude qualcuno dalla professione sanitaria solo perché vuole far nascere una vita umana nel mondo, piuttosto che distruggerla”. Queste le dichiarazioni del legale di Ellinor Grimmark, l’ostetrica svedese licenziata dal posto di lavoro perché si rifiutava di praticare aborti.
In Svezia l’ obiezione di coscienza non è consentita, cosa che ha portato questa Nazione ad essere in stato d’accusa da parte del Comitato Europeo per i Diritti Sociali del Consiglio d’Europa, imputazione a cui il governo ha risposto affermando che l’aborto non è necessariamente un omicidio in quanto –sempre a loro dire- un bambino, anche negli ultimi mesi di gestazione, quindi già completamente formato, non può essere considerato vivo.
La Grimmark, dopo il provvedimento di licenziamento, ha chiesto aiuto al difensore civico ed all’associazione che si occupa di difendere la libertà religiosa Alliance Defending Freedom ed ha portato il caso davanti ai giudici nazionali dichiarando di esser disposta a ricorrere anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo qualora non avesse trovato soddisfazione.
La questione non ha riguardato solamente il caso specifico ma ha avuto il merito di sollevare il problema dell’obiezione di coscienza a livello nazionale in un Stato che “vanta” il poco ammirevole record di aborti tra le adolescenti (attestandosi alla triste media di 22 ragazze su 1.000), frutto di una cultura della morte ben radicata da non ammettere che il proprio personale medico si spenda per curare un paziente e non per farlo morire.
Redazione