Abbiamo raccolto le testimonianze di diversi operatori sanitari che hanno lavorato in strutture dove si pratica l’aborto. Sono testimoni di un orrore che per un certo tempo, per un motivo o per un altro, hanno voluto e potuto ignorare. Sono testimoni del massacro di bambini innocenti, delle profonde ferite che le madri portano per sempre, e dei seri problemi psicologici che devono affrontare anche gli stessi medici e paramedici coinvolti nella crudele pratica. Del resto, è acclarato che la sindrome post abortiva non colpisce solo madri e padri, ma anche altri parenti e altre persone coinvolte nell’aborto: i chirurghi e gli infermieri mostrano spesso gli stessi sintomi dello stress post traumatico (Sspt) che colpisce i soldati reduci dal fronte dove hanno ucciso. Ma i soldati hanno rischiato di essere uccisi a loro volta, mentre gli operatori sanitari hanno procurato (o assistito) la morte di piccoli innocenti.
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Joan Appleton
Joan Appleton era una femminista, attiva nell'Organizzazione nazionale per le donne (Now). Ha accettato un lavoro presso la Commonwealth Women's Clinic di Fall's Church, in Virginia.
«Come infermiera pensavo di avere una meravigliosa opportunità: ero una ferma sostenitrice del diritto alla scelta e potevo effettivamente mettere in pratica le mie convinzioni politiche.
Una delle cose che mi infastidiva era che l'aborto fosse un trauma emotivo per le donne e che fosse una decisione così difficile da prendere. Se era giusto, perché era così difficile? Consigliavo le donne così bene, erano così sicure della loro decisione, quindi perché ritornavano mesi o anni dopo, ridotte a relitti psicologici? Tutti negavamo che esista qualcosa di simile alla sindrome post aborto. Eppure, le donne ritornavano, ridotte malissimo. Non potevo negare la loro esistenza.
Un'altra cosa che mi ha disturbato profondamente è stato l’aver visto un aborto con l’ecografia, probabilmente all’inizio del secondo trimestre. Io facevo l’ecografia mentre il medico eseguiva la procedura. Lo dirigevo mentre guardavo lo schermo.
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Ho visto il bambino che cercava di allontanarsi dagli strumenti chirurgici. Ho visto il bambino aprire la bocca.
Avevo visto il documentario “The Silent Scream”, ma non mi aveva colpito. Per me era solo propaganda pro life. Non potevo però negare quello che stavo vedendo sullo schermo con i miei occhi.
Quando tutto finì tremavo, letteralmente, ma sono riuscita a rimettermi in sesto e continuare il lavoro della giornata. I medici che lavoravano lì erano principalmente medici alle prime armi: avrebbero praticato aborti fino a quando non avessero avuto abbastanza soldi per aprire il proprio studio privato. Oppure erano medici non proprio bravi che facevano aborti per pagarsi l’assicurazione che li copriva per gli errori che commettevano con i loro pazienti. Non ho mai e poi mai conosciuto un medico, nei cinque anni in cui sono stata lì, che credesse che l’aborto fosse un diritto della donna.
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Intanto ero sempre più impegnata politicamente. Eravamo una clinica che forniva un servizio completo. Ci siamo occupati di tutti i tipi di malattie sessualmente trasmissibili, controllo delle nascite, preservativi, tutto. Ho iniziato a collaborare con Planned Parenthood e Naral (National Abortion Rights Action League) .
Quando sono stata incaricata di distribuire le pillole anticoncezionali alle donne che avevano abortito ho imparato il vero business dell'industria dell'aborto: davamo pillole a basso contenuto di estrogeni con un tasso di fallimento del 30%. Quindi, il trenta percento delle donne sarebbe tornata per abortire di nuovo. E ci “dimenticavamo” di dire che se si prendono degli antibiotici, la reazione chimica tra la pillola anticoncezionale e l'antibiotico rende la pillola anticoncezionale inutile: un altro 20% sarebbe tornato.
Quando ho iniziato l’attività di consulenza c'erano sette tipi di malattie sessualmente trasmissibili. Adesso sono venti. (“Ma non preoccuparti, puoi tornare da noi anche per le infezioni. Ovviamente ti daremo noi degli antibiotici” e così avremmo avuto un altro dieci, quindici per cento che sarebbe tornato per abortire!).
Andavamo nelle scuole a insegnare il "sesso sicuro" con la consapevolezza che avremmo incentivato i rapporti sessuali precoci e una certa percentuale di ragazze sarebbe venuta poi ad abortire. Un’altra percentuale di maschi e femmine sarebbero venuti per farsi curare le malattie sessualmente trasmissibili (diciamo di usare il preservativo, ben sapendo che il virus dell'Aids è 100 volte più piccolo dello sperma).
A un certo punto ho dovuto fermarmi.
Non mi piaceva quello che stava succedendo. Non mi piaceva quello che stavamo facendo per le donne. Se era giusto, perché soffrivano?
Sono andata a parlare con una sidewalk counselor, Debra. Ho iniziato a fare domande. Abbiamo parlato e parlato. Siamo diventate amiche...»
Fonte: Notizie ProVita & Famiglia, gennaio 2022
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