Il dramma del conflitto in Ucraina non scalfisce la vergogna dell’utero in affitto. Sono passati poco meno di due anni dal video choc dei 46 neonati piangenti stipati nella hall dell’Hotel Venezia di Kiev. I piccoli, tutti partoriti da “madri surrogate” presso la clinica Biotexcom, erano destinati a coppie occidentali ma, causa lockdown internazionale, non era stato possibile farli espatriare, né far venire i genitori adottivi in Ucraina.
Oggi, con la guerra, si sta riproducendo una dinamica simile proprio con le donne ucraine che stanno portando avanti una “gestazione per altri” e nessuno fa niente per salvarle dalle bombe, anzi, le si costringe a rimanere lì. Secondo quanto riferito dall’Huffington Post, infatti, sarebbero una settantina le “madri surrogate” contrattualizzate dalla Biotexcom e sarebbero ancora in territorio ucraino proprio per non intaccare il business dell’utero in affitto. Questa barbara pratica, infatti, è vietata nel resto d’Europa, e se le donne dovessero fuggire all’estero – come stanno facendo tutte le persone non chiamate alle armi, pur di salvarsi - esse sarebbero costrette, una volta partorito in territorio non ucraino, ad essere registrate come madri naturali dei bambini che portano in grembo.
Dunque, per salvare i propri affari, Biotexcom – anziché far evacuare come tutte le altre donne queste “madri surrogate” - ha allestito un bunker sotterraneo per salvarle e ospitare i “bambini-oggetto”. La clinica ucraina continua quindi a promuovere implacabile la sua attività. Sul sito di Biotexcom vengono illustrati con dovizia di particolari le procedure di spostamento di mamme e neonati dall’ospedale al bunker, la logistica e persino il piano di sopravvivenza in caso di attacco russo. «La clinica internazionale Biotexcom non ferma il suo lavoro e assicura la sicurezza dei bimbi nati durante la guerra», si legge nel sito. «I bambini nati in questi giorni sono al sicuro, di loro si prendono cura le baby sitter e sono in attesa che migliori la situazione e finalmente potranno stare con i loro genitori», spiega all’Huffington Post, la manager della clinica, Irina Isaenko, che, per l’occasione, rivela anche la presenza di due bambini destinati a coppie italiane.
Le partorienti sono propense (e praticamente costrette) a non fuggire anche per assicurarsi una sicurezza economica in tempo di guerra. Ciascuna di loro affitta il proprio utero a circa 10mila euro: cifra ragguardevole, specie per un paese povero come l’Ucraina. I clienti, da parte loro, elargiscono alle cliniche assegni che vanno dai 39mila ai 65mila euro. Secondo quanto afferma il settimanale Tempi, inoltre, le madri surrogate al soldo della Biotexcom dovrebbero partorire circa 200 bambini nei prossimi tre mesi. Viene da domandarsi se, di fronte a un tale inquietante exploit, non possano ripetersi tristi episodi come quello della bambina commissionata per una coppia italiana, che poi, lo scorso novembre, l’aveva abbandonata dopo essersi recata a Kiev per prendere la piccola.
Nella tragedia di una guerra, viene fuori il meglio e il peggio dell’umanità. L’istinto di sopravvivenza spinge a compiere azioni assolutamente encomiabili o, al contrario, spinge al cinismo più crudo. Tanto crudo da mettere a repentaglio la vita di decine di donne pur di non farle partorire in terra straniera.