In curiosa concomitanza con il dibattito pubblico sul ddl Zan, in questi giorni, gli onorevoli Guia Termini, Doriana Sarli, Riccardo Magi, Nicola Fratoianni ed Elisa Siragusa hanno depositato in Parlamento un disegno di legge – esito del «lavoro dell’associazione Coscioni e Certi Diritti», così è stato presentato – che affronta e disciplina la materia della «gravidanza solidale». Che cos’è la «gravidanza solidale»? Semplice: il caro vecchio utero in affitto, presentato sotto una veste terminologica più accattivante.
Non è una novità, considerando come da anni, sistematicamente, alle pratiche eticamente più aberranti vengano dati nomi diversi e capaci di edulcorarne la brutalità: l’aborto procurato è così diventato «interruzione volontaria di gravidanza», la produzione dei figli in laboratorio «procreazione assistita», l’omicidio del consenziente «interruzione volontaria di sopravvivenza» (ddl del 14.11.2001). Dunque la «gravidanza solidale» è il nome scelto dai promotori dell’utero in affitto per provare a renderlo legale anche in Italia.
Ora, gli interessati naturalmente negherebbero questo, spiegando che ciò che loro intendono promuovere non è affatto l’utero in affitto bensì la “gestazione per altri” o «gravidanza solidale» appunto - che non prevede per la donna compensi di alcun tipo bensì, al massimo, rimborsi spese -, ma la realtà e soprattutto l’esperienza internazionale ci dice come la maternità surrogata “altruistica”, spesso, non sia affatto tale. Parola di Julie Bindel, scrittrice femminista radicale ed attivista britannica che nell’ottobre 2020, sul londinese Evening Standard, ha firmato un intervento che fa a pezzi la bufala proprio della «gravidanza solidale», ciò che vogliono rifilare pure a noi.
«Parlare di “maternità surrogata altruistica” ossia di un accordo per cui la madre surrogata può agire solo liberamente e dietro rimborso spese», ha infatti scritto la Bindel, «è fuorviante. In Gran Bretagna una madre surrogata può richiedere fino a 15.000 sterline di rimborsi spese, che equivalgono allo stipendio annuale per molte donne con un lavoro a bassa retribuzione». Non è finita. Infatti, c’è un altro profilo da considerare che fa capire come il disegno di legge sulla «gravidanza solidale» rappresenti un pericolosissimo inganno. Alludiamo qui al fatto che, se anche fosse possibile immaginare una maternità surrogata effettivamente altruistica, essa resterebbe una pratica intrinsecamente violenta.
O forse si può considerare non violenta e auspicabile la sottrazione di un bambino al seno materno, previa transazione economica contrattualizzata? Cosa ci sarebbe di amorevole nel commissionare un figlio e poi “passarlo a ritirare”, quand’anche la gestante fosse del tutto favorevole e contenta di farlo senza neppure volere un euro di rimborso spese? Come si vede, posto che spesso e volentieri la «gravidanza solidale» è una mera utopia, se anche essa fosse nei fatti realizzata, l’abuso ai danni di un neonato privato del calore materno resterebbe tale e quale, come un crimine da avversare.
Non è un caso che tutt’ora il nostro ordinamento stabilisca che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza […] la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro» (comma 6, art. 12, L. 40/2004). Dunque, in aggiunta a quanto già detto, si può pure evidenziare, in conclusione, come una nuova legge italiana sulla «gravidanza solidale» non serva, perché già c’è. Ed è quella che giustamente punisce anche solo la pubblicizzazione di tale barbara pratica.