Pedofili si nasce o si diventa? Tradotto: la pedofilia è una forma grave di perversione, tale da meritare lo stigma sociale o è un orientamento sessuale col quale si nasce e che, in alcuni casi, non può essere considerato esecrabile? Non si tratta di uno scherzo ma dell’ultimo, sfacciato tentativo di sdoganare la pedofilia in ambito accademico che proviene questa volta niente poco di meno che dal pedofilo dichiarato e colto in flagrante Thomas O’Carroll, che nel 2006 venne perseguito dalla giustizia per aver distribuito materiale pedo-pornografico tramite la sua organizzazione Paedophile Child Emancipation Group: parliamo di video e foto in cui bambini maschi di sei anni venivano torturati e violentati. Per non farsi mancare niente, O’Carroll è anche autore del libro Paedophilia: The Radical Case and Michael Jackson’s Dangerous Liaisons; ecco, un soggetto con un simile “pedigree”, ha trovato spazio su una rivista scientifica, la Sexuality & Culture, dove ha esposto le sue deliranti idee a difesa della pedofilia.
Apprendiamo da un simile maestro che «l’asserzione per cui i bambini sono incapaci di relazioni sessuali è empiricamente infondata» e il motivo è presto detto: «Se anche un cane può sperimentare i sentimenti necessari in una relazione reciproca di carattere interpersonale… perché un bambino dovrebbe essere incapace di farlo?» Il paragone tra il rapporto cane e padrone e quello tra adulto e bambino la dice lunga sulla sudditanza psicologica che, con questa similitudine, evidentemente O’ Carroll coglie nelle “relazioni” tra gli adulti e i minori, che si sforza tanto di giustificare. È evidente dal paragone che lui stesso fa (quasi un lapsus freudiano) che quello tra un adulto e un bambino non potrà mai essere un rapporto paritario. Questa è una premessa importante dalla quale partire perché ultimamente si sta facendo spazio un nuovo, diabolico ragionamento per far accettare la pedofilia all’opinione pubblica, e cioè la distinzione tra pedofili “molestatori di bambini” e pedofili “innocui”.
Questi ultimi soffrirebbero moltissimo, secondo il suggestivo outing di Todd Nickerson sull’Huffington Post, il quale, in un crescendo pieno di pathos, afferma che «è impossibile sapere quanti pedofili non offensivi ci siano lì fuori, di sicuro sono molti e soffrono in silenzio. Ho l’orientamento sessuale più sfortunato che ci sia, ossia la preferenza per persone che legalmente, moralmente e psicologicamente non riusciranno mai a ricambiare le mie emozioni e i miei desideri». Ma è proprio questo il punto: presentare la pedofilia come una tendenza ineluttabile con la quale si nasce, al pari dell’eterosessualità: ci sta già pensando il Dsm, il manuale ufficiale dei disturbi psichiatrici in cui viene operata una distinzione tra “pedofilia” e “disturbo pedofiliaco” dove il primo riguarderebbe «tutti coloro che non soddisfano pienamente i criteri per la diagnosi di pedophilic disorder, in quanto presentano un’attrazione sessuale rivolta verso i bambini non attuata, in assenza di sentimenti di colpa, vergogna e ansia, quindi egosintonica»; questi, badate bene, «presentano un “orientamento sessuale”».
Parole a cui fanno da eco le incredibili affermazioni di Nickerson alle quali verrebbe spontaneo rispondere che se accettiamo l’attrazione “non attuata” verso un minore perché prima o poi non dovremmo accettarne anche le conseguenze? Ma, ritornando a O’ Caroll, nel suo articolo, fa un ulteriore passetto in avanti, arrivando ad affermare che lo stigma della pedofilia nascerebbe all’interno della famiglia patriarcale dove l’incesto sarebbe proibito perché non permetterebbe al padre di sottomettere la donna e i figli; invece «il pedofilo che rispetta i bambini non esiterebbe a deplorare un tale atteggiamento». Insomma, lezioni di rispetto da chi si diverte a guardare video di bambini torturati e violentati. Eppure, vogliono farci credere che esistono pedofili “innocui” e “sofferenti”, gente quasi indifesa insomma, discriminata forse da cattivoni che soffrono di “pedofobia”? Un ragionamento che, date le premesse, sembra filare liscio e soprattutto che non ci giunge nuovo.
Manuela Antonacci