09/03/2016

Ungheria, Islam, “EURSS”, “USARSS” e attivismo LGBT

Quelli che hanno una certa età possono ricordare come l’Ungheria sia stato il primo paese del blocco sovietico a dare segni di insofferenza nei confronti del regime socialista, insofferenza che sfociò nella rivolta aperta del 1956. L’eroico popolo ungherese attuò una resistenza disperata, inutili furono le richieste di aiuto lanciate dalla radio libera al mondo occidentale, l’aiuto infatti non giunse e la rivolta fu repressa nel sangue dai carri armati sovietici.

A 60 anni di distanza da quei tragici eventi, ancora una volta è l’Ungheria la prima a ribellarsi al blocco dei soviet, questa volta insediato all’ovest.

Carri armati a Budapest, 23 ottobre 1956

Per chi nutrisse qualche dubbio su questa affermazione o la considerasse un po’ azzardata, basta che si soffermi un attimo a guardare ai fatti: coloro che prima erano di casa a Mosca, principalmente i comunisti ma non solo, adesso sono tutti in adorazione degli USA (qualunque partito sia al potere), coloro che una volta temevano Mosca, ora ripongono le loro speranze nella Russia di Putin. Non c’è dubbio che negli ultimi 25 anni il mondo si sia letteralmente capovolto al punto che ormai si può parlare di EURSS e sarebbe bene incominciare anche a parlare di USARSS.

Ungheria_Budapest 1956_USARSS, UERSS
Carri armati sovietici a Budapest, 23 ottobre 1956

Ancora una volta l’Ungheria, per prima, ha detto no all’invasione programmata di profughi musulmani nell’area Shengen (dove rintracciare le responsabilità per la devastazione dei paesi da cui quelle persone fuggono è un altro discorso), sempre l’Ungheria ha bloccato, questa settimana, con il suo veto, il tentativo dell’Unione Europea di far avanzare il piano antidiscriminazione omofobica e transfobica (la Scalfarotto europea), compresa l’istituzione di un registro degli eventuali trasgressori. Nello stesso giorno l’Ungheria ha anche bloccato, sempre con il suo veto, l’accordo con la Turchia sulla crisi dei migranti, riuscendo in questo modo a temperare l’arroganza di Ankara.

Ha anche votato contro la ridicola partecipazione della barca della Commissione Europea al gay-pride di Amsterdam, la prossima estate: possibile che nessun altro Paese abbia condiviso questa posizione su un fatto indecoroso e svilente per le Istituzioni che dovrebbero rappresentare i popoli di tutta la UE?

Secondo il parere di Catherine Bearder, una parlamentare liberal democratica del regno Unito: “In alcuni paesi europei le persone LGBTI devono ancora affrontare una persecuzione quotidiana… è una disgrazia che governi come quello di Victor Orban blocchino il progresso in quest’area”. Non si sa esattamente cosa intenda la parlamentare inglese con il termine persecuzione che francamente si fa fatica a scorgere in Europa, a meno che per lei persecuzione non si intenda il sano principio di realtà che nega la possibilità per due maschi e due femmine di sposarsi e avere dei figli.

Ad ogni buon conto qualcuno dovrebbe ricordare alla gentile Catherine Bearder che tra non molto, se continuerà l’occupazione programmata e se l’Unione Europea non riprenderà il ben dell’intelletto, a rimettere ordine in questa squinternata area geografica, in cui dominano le passioni e la ragione latita, arriveranno i musulmani e lo faranno a modo loro, ovviamente.

(E allora, davvero, non vorremmo essere nei panni degli attivisti LGBTQIA...).

La Rosa Bianca

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