18/01/2016

Unioni civili – Basta la sola ragione per dire No

Il tema delle unioni civili non dovrebbe dividere più di tanto laici e cattolici.

Per contrastare il ddl Cirinnà, infatti, non serve ricorrere a precetti religiosi, comandamenti divini o dogmi. Basta semplicemente usare la testa. E questa, in teoria, ce l’hanno tutti. Basta saperla usare come si deve.

Su Tempi Aldo Vitale fornisce alcune argomentazioni squisitamente razionali per opporsi alle unioni civili.

Innanzitutto, come premessa, ribadisce che il vero progresso sociale non può portare al regresso morale. La politica, poi, dovrebbe perseguire il bene comune, che non coincide sempre con il bene che ciascuno desidera per sé. La legge, pertanto, non può tutelare ogni desiderio di ogni cittadino. Infine, sottolinea che il bene è universale e conoscibile, non soggettivamente interpretabile, altrimenti sarebbe il caos e si cadrebbe nell’anarchia.

Da ciò consegue che le unioni civili, da una parte sono un regresso morale perché «elevano e impongono il capriccio soggettivo a legge generale», dall’altra «rappresentano soltanto la trasposizione legale degli interessi della potentissima oligarchia Lgbt» e per concludere «sono la perfetta espressione dell’idea per cui il bene ciascuno se lo crea da sé e la legge non può impedire di soddisfare i propri desideri».

Il mondo gay o, come sarebbe meglio dire, un certo mondo gay, assai influente nei circoli che contano, propugna un individualismo sfrenato, tale per cui i suoi capricci debbono essere garantiti a prescindere, anche a scapito dei diritti dei bambini o delle donne che affittano il proprio utero. E, quindi, del bene comune.

Nell’articolo, Vitale elenca cinque motivi specifici per cui è giusto votare contro il ddl Cirinnà. unioni-civili_Italia_Venezia

Il primo, più lampante, è che «l’unione civile già esiste, e si chiama matrimonio, sancita e disciplinata dal Codice Civile a determinate condizioni e presupposti, come ogni istituto giuridico». Chi sceglie di convivere, infatti, lo fa perché evidentemente non vuole assumersi determinati impegni che si contraggono col matrimonio. Oggi la società e le relazioni umane sono sempre più liquide, instabili, fluide e la diffusione della convivenza lo dimostra.

In secondo luogo, a chi sostiene la necessità di una legge in materia solo perché altri Stati lo hanno già fatto, secondo Vitale bisogna rispondere affermando che questo «significa essere vittime di una forma di infantilismo giuridico che come tale, dunque, è ben poco razionale e soprattutto poco ragionevole. Le unioni civili non devono essere approvate, dunque, perché proprio la verità del diritto sarebbe violata, storpiando l’istituto familiare, aprendo all’utero in affitto, riconoscendo legami che, nonostante ciò che viene ripetuto a tamburo battente, non hanno nulla in comune con la relazionalità famigliare e che quindi non possono assurgere allo stesso rango di rilevanza costituzionale e alla medesima tutela giuridica (per questo la stessa Corte Costituzionale ha chiarito espressamente che semmai devono essere ricondotte sotto la tutela dell’articolo 2 e non dell’articolo 29 della Costituzione)».

In terzo luogo, il ddl Cirinnà non si può giustificare adducendo come motivazione che la società è cambiata, che esistono ormai tanti tipi di “famiglie” e che quindi l’ordinamento giuridico deve adeguarsi: in tal modo si adotterebbe «una logica puramente formalistica del diritto che verrebbe a coincidere soltanto con la volontà (storicamente determinata e mutevole) del legislatore di turno». A ciò si collega la quinta argomentazione enunciata dall’autore, ovvero che le unioni civili vadano approvate per «non discriminare i pur pochi che ne farebbero uso senza ledere i molti che non vi ricorrerebbero»: così facendo si corre «il rischio di accettare le conseguenze di un simile pericoloso modo di procedere», aprendo potenzialmente la porta ad ogni forma di relazione: matrimonio plurale (di cui già si parla), pedofilia, zoofilia, e così via.

Infine, giuridicamente parlando, premesso che nel nostro ordinamento il matrimonio non è un contratto, in quanto non regola interessi patrimoniali, «occorre decidersi: se le unioni civili sono simili al matrimonio non possono essere considerate un contratto, e, allora, non vi sarebbe ragione di approvare uno pseudo-matrimonio se già esiste il matrimonio vero e proprio di cui occorre rispettare modalità e presupposti (per esempio maggiore età e differenza di sesso); se, per converso, fossero da considerare un contratto non si potrebbero e dovrebbero assimilare al matrimonio da cui, anzi, sarebbe opportuno che si differenziassero in modo netto ed inequivocabile, e, quindi, non vi sarebbe comunque ragione di approvare un ulteriore tipo di contratto ben potendosi ricorrere e adattare agli schemi contrattuali già esistenti».

Auspichiamo che quanti siedono in Parlamento, prima di votare il ddl Cirinnà, prendano in considerazione tali motivazioni razionali.

E la voce del popolo che scenderà in piazza per il Family Day del 30 gennaio.

Redazione

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