Abbiamo parlato molte volte delle unioni civili previste dal ddl Cirinnà. Si tratta in verità di una sostanziale estensione del regime del matrimonio all’unione tra due persone dello stesso sesso.
Infatti ai sensi dell’art. 3 del ddl si applicano all’unione civile tutti i “diritti e i doveri” che discendono dal matrimonio ai sensi del codice civile, così come i diritti successori (art. 4), ecc. Oggi vorremmo però concentrarci su un argomento in particolare, che viene ripetuto fino alla noia e che ha una certa presa sull’opinione pubblica:
– “Vogliamo solo dare dei diritti a una minoranza, non stiamo togliendo diritti a nessuno, tanto meno stiamo danneggiando la vostra famiglia tradizionale!”
A prima vista l’argomento potrebbe apparire verosimile: in effetti non sembra che la concessione di “diritti” a una minoranza possa togliere diritti a nessuno e non sembra che l’unione civile tra due persone omosessuali possa danneggiare il matrimonio tra uomo e donna, non essendo (così parrebbe) istituti “concorrenti” (gli eterosessuali potranno aspirare solo al matrimonio, gli omosessuali solo alle unioni civili).
In realtà però, l’argomento è: 1. pretestuoso (almeno in parte), 2. irrilevante; 3. falso.
1. Pretestuoso (almeno in parte): la maggior parte dei diritti che si reclamerebbero per i conviventi già sono riconosciuti dall’ordinamento. In particolare quei diritti che sono più spesso portati a esempio per la loro inoffensività (subentro nel contratto di locazione, visite in carcere, visite in ospedale, ecc.).
2. Irrilevante: una riforma può essere ingiusta anche se non tocca diritti altrui o non danneggia direttamente nessun individuo. E’ giusto infatti “dare a ciascuno il suo”. Ora se non c’è un motivo ragionevole per predisporre un regime pubblico con certi diritti, simile al matrimonio, per una unione diversa, questo basta per renderla ingiusta. Sarebbe infatti (per quanto a prima vista possa sembrare paradossale) contrario al principio di uguaglianza e non discriminazione. Questo principio non impone soltanto di trattare in maniera uguale situazioni uguali, ma anche di trattare diversamente situazioni diverse. Ora la famiglia naturale (uomo e donna) fondata sul matrimonio è una situazione profondamente diversa dall’unione di due persone dello stesso sesso. Quindi predisporre un regime sostanzialmente uguale al matrimonio per unioni civili tra persone dello stesso sesso è una vera ingiustizia nei confronti del matrimonio e un privilegio ingiustificato e irragionevole in favore delle unioni civili.
Questo ci dovrebbe lasciare insensibili? Trattare in modo uguale situazioni diverse non ci lascerebbe insensibili nell’ipotesi in cui, lasciando il (più importante) diritto di famiglia, ciò riguardasse, per fare un esempio a caso, il diritto tributario: in questo campo esigiamo che lo Stato chieda tributi diversi a chi ha diversa capacità contributiva, anche se a noi non “togliesse” nulla di più. Si immagini il caso in cui lo Stato dovesse promulgare una legge “ad personam” e decidesse di fissare per alcune poche persone molto ricche delle imposte sul reddito uguali a quelle previste per l’impiegato medio. Probabilmente non inciderebbe molto sul bilancio pubblico e non “toglierebbe” nulla al resto dei cittadini, i cui contributi rimarrebbero invariati. Non lo percepiremmo ugualmente come una ingiustizia?
3. L’argomento è, infine, falso: cioè dire che predisporre un regime pubblico simile al matrimonio per persone dello stesso sesso non “tocca” i diritti altrui e non reca un danno alla società è semplicemente falso.
Persino uno studente di primo anno di giurisprudenza sa che qualsiasi diritto (che esso sia “relativo”, come i diritti di credito, o “assoluto”, come la proprietà) implica sempre dei doveri corrispondenti in capo ad altri.
E un dovere è per definizione una limitazione di libertà, o limitazione di un diritto altrui. Per fare un esempio, il diritto assoluto di proprietà implica il dovere di tutti i consociati di riconoscere il titolare del bene, di non appropriarsi della cosa, non utilizzarla senza il consenso del proprietario, ecc. Questo vale per ogni diritto, a prescindere dal fatto che sia giusto o meno.
Lo stesso si verifica relativamente ai “diritti” riconosciuti ai conviventi omosessuali: implicano dei doveri in capo a molte altre persone, quindi delle limitazioni di diritti o di libertà.
Qualche esempio.
L’art. 1 del ddl dispone che l’unione civile si costituisce mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile che deve poi iscrivere l’unione in apposito registro. Questo presuppone in capo agli ufficiali di stato civile il dovere di riconoscere e registrare quelle unioni gay. Ciò non è per nulla scontato. Alcuni potrebbero opporsi a questo riconoscimento per ragioni di coscienza (e farebbero bene). Si crea in altre parole una frizione tra il riconoscimento pubblico dell’unione e la libertà di coscienza di un altro cittadino, o anche la libertà religiosa o di espressione. L’approvazione del ddl quindi implica una limitazione del diritto alla libertà di espressione e di religione di alcuni cittadini (almeno quelli che svolgono il ruolo di ufficiale di stato civile: i sindaci, i loro delegati, gli impiegati di ruolo, ecc.).
I problemi che derivano da questo fatto non sono fantagiuridici ma pura realtà: è noto quanta resistenza ci fu da parte di molti sindaci dopo l’approvazione del “marriage pour tous” in Francia, e i provvedimenti severi presi dal Governo contro i dissidenti. Ancora più recentemente abbiamo dato notizia della resistenza del Texas alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di estendere a tutti gli stati il matrimonio gay. Il problema è emerso quando il ministro della Giustizia del Texas ha dichiarato che i funzionari comunali non potranno essere obbligati a trascrivere le nozze gay: “Gli addetti (alle nozze) delle contee e i loro impiegati conservano le loro libertà religiose e quindi possono rifiutarsi per motivi religiosi di concedere una licenza di matrimonio a persone dello stesso sesso”. Il ministro si è mostrato consapevole della possibilità che i funzionari vengano denunciati ma ha promesso in ogni caso sostegno legale.
Questo è forse il più importante, ma non è certo l’unico caso concreto di “limitazione” di diritti o libertà in capo ad altri: si pensi alle “convenzioni matrimoniali” (il cui regime si applicherebbe anche alle unioni civili) che sono per loro natura opponibili a terzi; oppure al diritto successorio: la successione legittima spetterebbe anche al partner omosessuale del defunto. Questo limita in grande misura la parte di eredità che può essere devoluta ai (veri) familiari del defunto (si pensi soprattutto ai genitori o all’eventuale figlio biologico del solo defunto), indipendentemente da ciò che il defunto abbia disposto volontariamente in testamento. A prescindere dalla ingiustizia o meno di questa situazione, resta che è falso affermare che “concedere diritti” ad alcuni, non toglie nulla a nessuno.
Segue la seconda parte (clicca qui)
Alessandro Fiore