Unioni civili : rispondiamo alle obiezioni – prima parte (cliccare qui).
Ultima ragione per la quale non è vero che approvare il ddl Cirinnà “non toglie diritti a nessuno e non danneggia la famiglia tradizionale”: il riconoscimento di uno pseudo-matrimonio, chiamato “unione civile”, tra persone dello stesso sesso provoca un danno sociale.
Abbiamo detto in altri articoli dei danni che deriverebbero da quella che costituisce una promozione pubblica del rapporto omosessuale, e del danno che può derivare ai bambini soprattutto qualora la giurisprudenza (europea o nazionale) allarghi, com’è prevedibile, il diritto di adozione, partendo dalla “stepchild adoption”. Qui però vogliamo parlare di un altro danno, che interessa direttamente la famiglia naturale.
La legge ha una rilevante forza pedagogica. Ciò che essa promuove tende a essere percepito come buono e giusto dalla collettività, ciò che proibisce come dannoso e cattivo. Allo stesso modo la definizione degli istituti a livello legale influenza la mentalità e il costume, creando indirettamente tutta una serie di incentivi o di freni verso certi comportamenti.
Con l’approvazione di uno pseudo- matrimonio gay lo Stato sta dando un messaggio ben preciso: “riconosco un’unione e la promuovo pubblicamente, non perché ritengo importante la generazione e la crescita dei bambini, ma perché ritengo importante tutelare un sentimento (‘l’amore’)”.
L’effetto “pedagogico” è potenzialmente devastante.
Ne consegue una inversione ideologica: il benessere emotivo e sentimentale degli adulti prevale sull’esistenza e il benessere dei bambini. Il motivo stesso per ricorrere al matrimonio tra uomo e donna cambia: poiché il regime è sostanzialmente identico a quello delle unioni tra omosessuali, cioè unioni essenzialmente e strutturalmente sterili, si è indotti a pensare che il riconoscimento pubblico del matrimonio non abbia a che fare con la possibilità di fondare famiglia, ma sia motivato dalla tutela dell’affetto tra eterosessuali.
Anche i principi ispiratori della futura azione politica rischiano di cambiare a danno della famiglia naturale e della società tutta. Se lo Stato stesso smette di credere che il riconoscimento del matrimonio implica un legame stretto con la famiglia e i bambini, le politiche future che avranno ad oggetto il matrimonio non saranno principalmente dirette ad agevolare la nascita e la crescita dei bambini (e in particolare le famiglie numerose come vorrebbe l’art. 31 della Costituzione) ma a realizzare interessi personali e sentimentali degli adulti (la logica del divorzio breve è la stessa).
Questo risultato sarebbe catastrofico per una nazione che soffre già in modo terribile di un’inverno demografico senza precedenti. Il tasso di fertilità medio della donna italiana si aggira sul 1,3, cioè molto al di sotto della soglia di sostituzione generazionale (2,1) e uno dei più bassi al mondo. Ciò vuol dire, tra le molte cose: invecchiamento progressivo della popolazione, insostenibilità economica, in particolare rispetto alla previdenza pubblica, e, in prospettiva, sostanziale estinzione del popolo italiano. Lo scenario sembra apocalittico, ma esso è semplice conseguenza dei numeri, se non si cambia in modo rilevante il tasso di fertilità (cosa difficile da fare) e non si punta sulla nascita dei bambini.
Togliere rilevanza alla generazione dei bambini, come motivo fondante del riconoscimento del regime pubblico previsto per il matrimonio, è l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno.
Di conseguenza, il riconoscimento di pseudo-matrimoni gay (unioni civili), è l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno.
Alessandro Fiore