Lo scorso 20 ottobre, gli Universitari per la Vita sono stati attaccati da alcuni collettivi femministi davanti all’entrata dell’Università Sapienza di Roma per il semplice fatto di aver distribuito dei volantini contro l’aborto. Un attentato alla libertà di parola e di opinione a cui sono, da tempo, avvezzi, proprio coloro che si definiscono “progressisti”. Ne abbiamo parlato con Fabio Fuiano, presidente degli Universitari per la Vita.
Fabio, cosa è successo??
«Innanzitutto ci tengo a ringraziare Pro Vita & Famiglia per la solidarietà mostrata nei nostri confronti. Ecco i fatti. Giovedì scorso, dopo aver ottenuto regolare autorizzazione da parte della Questura, io e altri quattro ragazzi degli Universitari per la Vita ci siamo incontrati in Piazzale Aldo Moro, davanti all’entrata della Sapienza, per svolgere un volantinaggio pro-life. Avevamo il permesso dalle 11 alle 13 e per circa un’ora e mezza siamo stati (relativamente) tranquilli. A circa un quarto d’ora dalla fine del volantinaggio, siamo stati circondati da una ventina di studenti di collettivi femministi che ci hanno intimato minacciosamente di tacere e di andarcene da lì. Delle ragazze hanno improvvisato uno striscione con su scritto “fuori gli anti-abortisti dall’università” e una di loro gridava ininterrottamente contro di noi al megafono (un fiato invidiabile devo dire…). Abbiamo cercato di confrontarci pacatamente con alcuni di loro, ma per questi studenti è intollerabile che si parli dell’argomento e chiunque osi farlo merita di essere totalmente zittito e cacciato. Non appena hanno iniziato ad avvicinarsi per provare a convincerci con maniere forti ad andarcene sono intervenuti alcuni poliziotti in borghese che hanno formato un cordone tra noi e loro, così che siamo rimasti incolumi. Per evitare attacchi a sorpresa, siamo stati poi scortati da uno di questi uomini verso la stazione Termini».
Avete sporto denuncia o intendete farlo?
«No, non abbiamo sporto denuncia perché non abbiamo ricevuto danni fisici refertabili. Purtroppo sono portato a dubitare che ciò avrebbe un reale effetto su persone che operano in modo squadrista anche con lo scopo di evitare denunce ad hominem».
Questa aggressione vi fermerà?
«Decisamente no. Anzi, siamo determinati, ancor più di prima a diffondere una cultura pro-life negli atenei italiani. Già nel 2018 subimmo un’analoga aggressione, per certi versi ancor più grave, di fronte all’entrata del Dipartimento di Lettere e Filosofia della stessa università. In quell’occasione, una delle nostre ragazze fu anche presa a calci da quelli che dicono di “difendere le donne dalla violenza”. Effettivamente, quell’episodio ebbe una vasta eco nell’università e riuscimmo persino a portare la cosa all’attenzione dell’ex Rettore, Eugenio Gaudio, il quale intervenne anche nel Senato Accademico sulla questione. Ad ogni modo, nessuno di questi attacchi ci ha mai fatto desistere e anzi, quanto più continuano, tanto più ci fanno comprendere la necessità della nostra presenza per portare una parola di verità laddove regna la menzogna sull’aborto. Loro lo ritengono un diritto inviolabile della donna, ma la verità è ben diversa: l’aborto è sempre la diretta soppressione di un essere umano innocente. Chi esclude quest’ultimo dal dibattito elude la questione fondamentale, il “nocciolo”, come avrebbe detto il compianto Mario Palmaro. Non possiamo fermarci, lo dobbiamo a tutti i bambini uccisi e alle persone profondamente ingannate dalle falsità abortiste veicolate dai media e da leggi ingiuste come la 194».
Tornerete a manifestare e fare attività negli stessi luoghi?
«Più che certo! È proprio nei luoghi che si rivelano essere i più impervi o i meno permeabili ad una cultura pro-life, che bisogna maggiormente insistere. Questi gruppi sono costituiti da pochi violenti che però urlano così tanto da sembrare la maggioranza. In verità, le università sono piene di ragazzi che non condividono quelle idee e che, anzi, avrebbero bisogno di una compagnia con cui confrontarsi su temi così delicati e attuali. Probabilmente tanti di loro vorrebbero addirittura impegnarsi nel pro-life, ma hanno paura a causa del clima di violenta repressione che vige negli ambienti universitari ad opera di questi collettivi femministi di estrema sinistra e, non di rado, degli stessi docenti. La nostra presenza può essere per loro da un lato una consolazione, perché hanno la testimonianza di non essere soli a difendere ciò che è giusto, dall’altro un incoraggiamento per unirsi alla battaglia. Peraltro, non dobbiamo dimenticarlo mai, noi non possiamo sapere quante anime possono essere raggiunte da un raggio di luce anche in virtù dei nostri sacrifici personali. Solo Dio sa in che quantità, e forse noi lo scopriremo alla fine della nostra vita, ma la certezza rimane: le nostre personali sofferenze, anche gli attacchi, le ingiurie, pazientemente sopportati e offerti, salvano anime e, foss’anche una sola, niente vale più di questo».