Che le lobby omosessualiste godano di cospicui finanziamenti è cosa risaputa. Quindi è ovvio che anche la pratica dell’utero in affitto – indispensabile agli omosessuali che intendono avere bambini, non potendo fare bambini ma solo comprarli – abbia importanti e danarosi sponsor.
La Volkswagen ha recentemente perso due premi di «auto ecologica dell’anno» ricevuti dalla rivista americana Green Car Journal nel 2009 (VW Jetta TDI) e nel 2010 (Audi A3 TDI).
Il colosso tedesco è globalmente sotto accusa per aver truccato le sue auto, che nei soli USA sarebbero 11 milioni.
La Volkswagen è ora vista come quella fabbrica di automobili che ha mentito al mondo alterando la natura dei suoi prodotti, con conseguente disastro ecologico.
Può l’industria dell’auto fare tanto danno?
In fondo, direte, sono solo auto. Le auto tedesche magari inquinano l’aria, ma mica possono minare la base di una società, cioè la famiglia, l’unione naturale di un uomo e di una donna.
In realtà, pare che qualche casa automobilistica abbia deciso, non più tardi di due anni fa, di intossicare anche il concetto di famiglia naturale: possiamo infatti scorgere tra gli sponsor del Vicenza Pride 2013 (il Gay Pride del capoluogo veneto) il marchio di Smart, la casa automobilistica del gruppo Daimler AG – cioè Mercedes-Benz – che produce la famosa piccola vettura urbana.
Leggiamo infatti sul sito del Comune di Vicenza: «Quarta giornata del “VICENZA PRIDE FESTIVAL”, l’iniziativa contro le discriminazioni che si svolge in vari luoghi della città con un programma di arte, musica e tavole rotonde. Un progetto firmato La Piccionaia – I Carrara Teatro Stabile di Innovazione in collaborazione con il Comitato Vicenza Pride, divenuto possibile grazie all’intervento di Smart by Trivellato».
Trivellato risulta essere il concessionario di Smart e Mercedes di Vicenza, presente anche in altre città italiane.
Il logo di Smart compare anche nella pagina del Vicenza Pride dedicata ad un evento dal titolo “E’ l’amore che crea la famiglia” (venerdì 14 giugno 2013). La conferenza prevedeva gli interventi di Margherita Bottino (definita «psicologa e ricercatrice») Ilaria Trivellato (definita «referente Emilia Romagna per Famiglie Arcobaleno», stranamente omonima del concessionario) e Camilla Selbezzi (ex presidente delle Commissione Cultura del Comune di Venezia della giunta Orsoni, si fece notare per la difesa ad oltranza della diffusione ai bambini dei libretti, con proteste che hanno sfiorato la rissa).
Ad organizzare l’incontro furono la Rete Genitori Rainbow, AGEDO , Comitato Vicenza Pride e le Famiglie Arcobaleno, l’associazione in prima linea per la propaganda e il sostegno di coppie omosessuali in cerca di figli ottenuti tramite la pratica della FIVET o dell’utero in affitto.
La leader delle Famiglie Arcobaleno, la lesbica italo-francese Giuseppina La Delfa, ammise di partecipare a questo traffico, sempre due anni fa, nella sua rubrica sull’Huffington Post: in polemica con Costanza Miriano e con Avvenire, che aveva pubblicato un dossier contro il commercio di uteri ed embrioni mostrando gli orrori dei casi indiani, la La Delfa ebbe a scrivere: «Non parlo dell’India, proprio perché è un mondo che non conosco, parlo della maternità per altri come viene praticata in Canada o negli Stati Uniti, quella che noi di Famiglie Arcobaleno conosciamo bene e promuoviamo».
Di fatto, lo stesso giornale dei vescovi reagì indicando che l’azione delle Famiglie Arcobaleno si può scontrare pericolosamente con la legge 40: «In una documentata guida si spiega anzitutto come eludere la legge 40, che vieta la pratica all’articolo 12 comma 6: “Il cittadino italiano che va a praticare la GDS in uno Stato estero che la consente – si legge nel sito dell’associazione –, e poi torna in Italia con il figlio o i figli, non infrange alcuna legge, né straniera né italiana”. Infatti, la viola, aggirandola».
Vale la pena di ricordare il passaggio in questione della legge 40/2004: «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da 3 mesi a due anni, ed una multa da 600 mila ad un milione di euro».
Il rischio è grosso, ma del loro appoggio diretto alle pratiche dell’utero surrogato – qui chiamato con una neolingua eufemistica GPA («gestazione per altri») o GDS («gestazione di sostegno) l’associazione Famiglie Arcobaleno non ha mai fatto mistero. Ancora nel 2011, invitò a parlare in Italia tale Nancy, nerboruta californiana «che per due volte ha scelto di portare avanti una gravidanza per altri per permettere ad una coppia gay romana di divenire genitori». Il video è tuttora visionabile su YouTube.
Perché il marchio Smart abbia deciso di essere piazzato sopra tutta questa storia – ai limiti della legalità, dice Avvenire – è difficile da comprendere.
Sotto il logo Smart, c’è il motto: non vorremo che dietro a «open your mind» vi sia un «rent your womb». Questo sì sarebbe un inquinamento da scandalo.
Rodolfo De Bonis
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