Come avevamo preannunciato, il governo indiano ha introdotto nuove regole che vietano agli stranieri di sfruttare le donne povere del paese attraverso l’ignobile pratica dell’utero in affitto.
Alla fine del mese scorso, il Consiglio indiano per la ricerca medica, un ente governativo, ha pubblicato un decreto in cui si sancisce che il “servizio” dell’utero in affitto possa essere fornito solo a coppie sposate di cittadini indiani. Alle 350 cliniche per la fertilità che operano nel Paese, quindi, è stato ingiunto di non accettare clienti stranieri.
Il documento non spiega cosa debba accadere ai bambini che sono attualmente in gestazione. Due cliniche a Mumbai, in proposito, hanno ottenuto una temporanea sospensione del divieto.
La nuova legge ha scatenato una levata di scudi da parte delle cliniche, ovviamente.
Hanno tirato in ballo la “discriminazione” e i diritti umani: “Perché dovrebbero essere discriminati gli stranieri? Siamo tutti esseri umani”, ha detto alla stampa Nayana Patel, uno dei maggiori specialisti di fecondazione in vitro in India.
C’è anche chi sostiene che dare l’utero in affitto sia semplicemente una buona azione che paga bene, un modo per combattere la povertà.
Ricordiamo che in India, le donne che danno l’utero in affitto sono le più povere e ignoranti. Spesso analfabete, non hanno neanche un contratto che tuteli i loro diritti. Possono essere costrette ad abortire, ricevono in pagamento somme irrisorie, rispetto a quelle che intascano gli intermediari, e sono obbligate a vivere per nove mesi segregate, senza poter frequentare la famiglia, per non rischiare di ammalarsi e compromettere la salute della preziosa mercanzia che portano in grembo.
Redazione
Fonte: BioEdge
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’