Il seguente contenuto è una traduzione e fedele rielaborazione di un articolo che Jennifer Lahl - fondatrice e presidente del Center for Bioethics and Culture Network e attivista contro l’utero in affitto - ha direttamente inviato e gentilmente concesso a Pro Vita & Famiglia onlus.
Sempre più spesso, di recente, studi scientifici stanno confermando come la GPA (gestazione per altri, o più semplicemente conosciuta come utero in affitto) abbia probabilità molto più elevate di complicazioni durante la gravidanza o durante il parto. Complicazioni che in alcuni tragici casi (molto raramente riportati dai media) possono risultare fatali per la madre surrogata.
Come nel caso di Michelle Reaves, la cui morte il 15 gennaio 2020 è stata annunciata dai media senza però divulgare le cause del decesso. Infatti, gli esiti negativi della maternità surrogata rimangono quasi sempre non segnalati. Solo tramite una dichiarazione della famiglia mediante Facebook è stato possibile venire a conoscenza della vera causa della sua morte precoce: una rara sindrome clinica chiamata embolia da liquido amniotico.
Nonostante ciò, purtroppo, Michelle Reaves (moglie, madre di due bambini e già madre surrogata di un altro bambino) non è la prima vittima.
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Un’altra dichiarazione — seppur anonima nel timore di ripercussioni legali — ci parla del caso di Crystal Wilhite, madre surrogata al CSP (Center for Surrogate Parenting, Centro per la Genitorialità Surrogata, in California), la cui morte è tristemente avvenuta dopo un travaglio precoce con dimissioni precipitose da parte dell’ospedale, nonostante la giovane Crystal non si sentisse ancora del tutto in forma. Il decesso è avvenuto nella sua casa in California nel febbraio del 2017 e la causa è stata successivamente riconosciuta come un’embolia.
Jennifer Lahl, attivista, fondatrice del Center for Bioethics and Culture Network e autrice del famoso documentario Eggsploitation del 2011, ha spesso ribadito che, per quanto la GPA venga promossa come un gesto altruistico come la donazione di un organo, purtroppo molte delle donne che mettono a disposizione il proprio corpo per “offrire il dono della vita”, provengono da una situazione economica precaria, che le mette spesso in una condizione di sfruttamento senza essere pienamente informate dei rischi alla propria salute.
Il fatto che i rischi di una gravidanza surrogata siano esattamente gli stessi di qualsiasi altra gravidanza, infatti, è largamente smentito già da molti anni. Studi recenti (tra cui quello di FertStert.org) e la letteratura medica oggi a disposizione hanno dimostrato come l’utero in affitto sia ad alto rischio per le donne: chi affronta una gravidanza surrogata, infatti, presenta un rischio di tre volte più alto di sviluppare complicazioni come ipertensione e preeclampsia, così come rischi decisamente elevati di sviluppare diabete mellito gestazionale e placenta previa. Esistono anche casistiche molto più elevate di parti prematuri e bambini sottopeso, così come probabilità molto più alte di parti gemellari, ricoveri in terapia intensiva neonatale e tempi più lunghi nei ricoveri delle madri surrogate. Il tutto con costi ospedalieri molto più elevati.
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Michelle e Crystal sono solo due dei numerosi casi a cui non è stato dato un nome, ma ciò non li rende meno tragici. Nel 2021, Ashlee Hammonds, direttrice dell’agenzia Family Makers Surrogacy in Georgia, negli Stati Uniti, ha aperto una campagna su GoFundMe per raccogliere fondi da donare per i bambini rimasti orfani in un altro caso di decesso, del quale purtroppo non si hanno che poche informazioni. La pagina GoFundMe racconta di una tre volte madre surrogata, anche lei morta per embolia da liquido amniotico il giorno in cui avrebbe dovuto partorire. Non si hanno informazioni sul numero di bambini che portava in grembo, né se questi siano sopravvissuti. Si sa però che fosse già madre di una figlia quasi sedicenne e di un numero sconosciuto di figli maschi.
Ma quante altre madri surrogate sono morte? E a quante di loro è stato dato un nome?
Purtroppo, come dichiarato sempre da Jennifer Lahl, non è possibile rispondere in modo esaustivo a tali domande, in quanto non esiste alcun tracciamento né supervisione dei casi. Nei relativi certificati di morte la causa del decesso verrà dunque ricondotta a una qualche complicazione sorta in gravidanza, senza mai specificare se surrogata o meno. Inoltre, sul certificato del neonato o neonati non verrà mai dichiarata la morte della loro madre, né quasi sicuramente il suo nome in conseguenza degli accordi pre-nascita.
C’è però un aspetto inquietante: proprio tra i donatori più generosi della causa su GoFundMe si trovano entità che traggono profitto proprio dall’utero in affitto: avvocati, proprietari di agenzie e cliniche per la fertilità. Queste causa – e non è la sola – vengono infatti proposte forse per “lavarsi la coscienza”, ma soprattutto per far passare il messaggio che donando si possa arrivare a gravidanze – sempre surrogate – più “sicure”. Come anche il caso della raccolta dopo la morte di Brooke Brown, donna dell’Idaho morta nel 2015 insieme ai bambini che portava in grembo per una coppia in Spagna, dove l’utero in affitto è considerato illegale. La sua pagina GoFundMe è stata aperta dalle sue “sorelle surrogate”. L’obiettivo era quello di raggiungere appena 10.000 dollari per il marito di Brooke e i loro tre figli. Ad oggi, la cifra raggiunta è appena sopra i 6.000 dollari.
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E ancora, il 18 Luglio del 2021 l’embolia da liquido amniotico, per quanto rara, ha mietuto un’altra vittima: Lydia Cox, moglie e madre di quattro bambini, morta ad appena 33 anni. Il bambino (un maschietto) è sopravvissuto ed è stato prontamente adottato dalla coppia a cui era stato destinato. Oppure, ancora, ricordiamo la giovane Jane Doe, morta - anch’essa dopo la maternità surrogata - a maggio 2021.
Della morte di Lydia non ne ha parlato nessuno, se non suo marito Trey tramite TikTok. Anche per lui è stata aperta una campagna GoFundMe (bastano pochi clic per trovarne di innumerevoli), questa volta da parte di Sam Hyde, presidente dell’agenzia Circle Surrogacy, la quale è elencata tra i donatori più generosi. Circle Surrogacy, infatti, ha fornito due contributi di 50.000 dollari. In totale, nei 115.000 dollari provengono da entità coinvolte in attività relative alla maternità surrogata.
In realtà si tratta di cifre irrisorie, se pensiamo che è stato stimato che entro il 2025 il mercato globale dell’utero in affitto raggiungerà i 27,5 miliardi di dollari. Con una cifra del genere, dunque, è molto facile chiudere un occhio sui veri rischi per la salute delle donne coinvolte e “alleggerirsi” dalle responsabilità, aiutando le famiglie di chi ha messo in pericolo – perdendola – la propria vita.
Ci chiediamo, però: se queste donne fossero pienamente informate dei rischi, prenderebbero davvero la decisione di mettere la propria salute in pericolo, con il rischio di rendere i propri figli orfani? A quanto ammonta la cifra per cui hanno preso la decisione di offrirsi come surrogate?
È quasi un paradosso come lo slogan dell’agenzia Family Makers Surrogacy sia: “Cambiamo le Vite di Coloro che Serviamo”. Effettivamente, purtroppo, la vita delle famiglie di queste madri è stata tragicamente cambiata per sempre.