La maternità surrogata, anche nella sua forma “altruistica”, pone sempre un interrogativo riguardo allo stato di fragilità o di ricattabilità delle donne che vi si sottopongono. In questo contesto, inoltre, si tiene poco conto dei diritti del bambino e del legame psico-biologico che, nella vita intrauterina, si può instaurare con la madre, anche quando questa è surrogata. Pro Vita & Famiglia ha affrontato il tema assieme a Claudia Navarini, professore ordinario di Filosofia Morale all’Università Europea di Roma. Per l’occasione, la professoressa Navarini ha accennato alla propria attività nel Comitato Nazionale di Bioetica, di cui è diventata membro pochi mesi fa.
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Professoressa Navarini, lo scorso dicembre, lei è stata nominata membro del Comitato Nazionale di Bioetica. Ci può tracciare un bilancio provvisorio di questi primi quattro mesi di attività?
«È ancora presto per fare un bilancio. Penso, però, si possa dire che il governo si stia avvalendo in maniera abbastanza sostenuta della consulenza del Comitato. Aggiungerei che le tematiche da noi trattate, essendo tutte delicate e “di frontiera”, hanno evidenziato le differenze che si riscontrano all’interno di questo organo, la cui composizione è sempre stata variabile ed eterogenea».
Riscontra differenze tra il Comitato di cui lei fa parte e l’orientamento dei mandati precedenti?
«Veri confronti non ne posso fare, visto che precedentemente non c’ero. Per quanto riguarda la composizione dell’organo, comunque, non si può negare che, adesso, c’è una componente pro-life di un certo peso. Pertanto, sicuramente, nell’ambito delle discussioni tenutesi finora, si è notata una valorizzazione del favor vitae nelle tematiche prese in esame. Mi riferisco, in modo particolare, agli argomenti di primo piano e “di trincea”, come l’etica di fine vita, il suicidio assistito, la fecondazione artificiale e la maternità surrogata».
Con riferimento al fine vita, quali sono state le discussioni apicali in questi quattro mesi al Comitato Nazionale di Bioetica?
«Il suicidio assistito è stato l’unico tema su cui è stato pubblicato qualcosa, le altre tematiche sono tutte in lavorazione. Siamo stati interpellati con un quesito da parte del Ministro della Salute, che richiedeva una risposta in tempi abbastanza brevi. Non riguardava il suicidio assistito in generale ma in alcune specifiche condizioni, in particolare, quali enti dovessero dare un parere alle strutture sanitarie in merito alle condizioni in cui il suicidio assistito può essere praticato, senza offrire una valutazione sull’atto in sé. Su questa tematica, è stato richiesto di intervenire rispetto a un caso di assistenza d’emergenza o di sostegno per un rifiuto non tanto di trattamenti sanitari quanto di alimentazione non necessariamente svolta nella forma parenterale o artificiale ma anche nella modalità di assunzione del cibo ordinario. Mi riferisco al famoso caso, poi identificato dall’opinione pubblica con il caso Cospito. Ci si domandava cosa accadrebbe se un carcerato rifiuta i trattamenti ma era chiaro che, sullo sfondo, c’era un caso reale, non ipotetico. Anche lì, il Comitato si è trovato a dover fornire un parere elaborato, che verrà formulato più avanti».
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Precedentemente, lei ha menzionato la maternità surrogata: nel momento in cui lei fosse chiamata a discutere in merito, come argomenterebbe?
«Si tratta proprio di uno dei temi che il Comitato sarà chiamato ad affrontare, essendoci una forte pressione da un punto di vista culturale, mediatico ed etico. I punti più problematici sono evidenti: da un lato, troviamo tutte le problematiche relative alla strumentalizzazione del corpo femminile. Questo è un aspetto importante che non va mai perso di vista, anche laddove vi sia un consenso. Questa procedura riguarda donne caratterizzate da una certa fragilità, soggette a forti pressioni, spesso dietro un incentivo economico che, a volte, diventa quasi un velato ricatto. Dato che spesso si parla di donne in difficoltà, è chiaro che ricevere un corrispettivo economico per una procedura comunque irrispettosa della dignità personale, potrebbe diventare un modo per forzare la volontà e per approfittare di una debolezza per ottenere un certo tipo di vantaggio».
C’è poi la questione della maternità surrogata a titolo gratuito, su cui si registra il vero dibattito bioetico. A riguardo, cosa ne pensa?
«Se una donna si rende disponibile a portare la gravidanza per altri in maniera “oblativa”, per il puro desiderio di aiutare a soddisfare il desiderio di maternità di una sorella, di una figlia o di una parente stretta, anche in quest’ottica, permangono problemi molto seri. Non può esistere, infatti, un’esperienza della gravidanza completamente avulsa dalla maternità. È vero che non tutte le madri sono anche madri biologiche, infatti, se una coppia adotta, abbiamo due genitori a tutti gli effetti dal punto di vista educativo e affettivo. Se da un lato si può essere madri anche se non si è portato in grembo il proprio figlio, specularmente, non si può dire che la donna che partorisce in maniera “surrogata”, non abbia nulla a che fare a livello genitoriale con il bambino che viene partorito. La relazione madre-figlio è una relazione che comincia prima della nascita. È una relazione biochimica, biunivoca, meravigliosa e immediata. Se la mamma nutre il bambino, gli permette uno sviluppo, lui riconosce sempre meglio la propria madre, interagisce in maniera sempre più efficace con lei e, addirittura, le regala cellule staminali che restano nel corpo della mamma per molti anni dopo la nascita; c’è quindi uno scambio intensissimo. Per cui, nei confronti del bambino concepito in maniera “surrogata”, quando viene strappato da colei che l’ha partorito, c’è un elemento di violenza, in quanto lui stesso la riconosce come mamma colei, ne riconosce il battito cardiaco e la voce, tanto è vero che viene addirittura messo sulla pancia della mamma subito dopo il parto, per non essere staccato da lei. Va sottolineata, quindi, questa dimensione, non superata dal fatto che la “madre gestazionale” offre il suo utero a titolo gratuito. Da parte di tante persone che, con tutte le buone intenzioni del caso, difendono questa pratica, c’è quindi una confusione tra il desiderio del figlio e il diritto al figlio. In queste pratiche, che comunque forzano la natura e la relazione in maniera così importante, viene proprio da pensare che il figlio sia prima di tutto la soddisfazione di un desiderio degli adulti e, solo in seconda battuta, un valore in se stesso. Nell’adozione non è prioritario dare un figlio a chi lo desidera ma dare dei genitori a qualcuno che ne è privo. Qui la logica è rovesciata: prima viene il desiderio genitoriale da soddisfare in qualunque modo, poi, eventualmente, la dignità e il valore del concepito, tant’è che nello stesso disegno di legge in discussione e nelle leggi già esistenti sulla maternità surrogata, si prevede che, laddove ci siano problemi non previsti, si possa praticare l’aborto; sottoponendo così la madre surrogata ad un ulteriore trauma».