Utero in affitto – Truffe planetarie

Una società che offre come servizio il “turismo biologico”, cioè rimedia gameti e uteri in giro per il mondo, in modo da confezionare e vendere un bambino a chi glielo commissioni, Planet Hospital, è in fallimento ed è stata accusata di aver truffato i suoi clienti. Il New York Times racconta di Jonathan C. Dailey, un avvocato di Washington, che ha pagato 37.000 dollari  nel mese di dicembre 2013, come prima rata, per avere un  utero in affitto messicano: lui e la sua fidanzata sono andati  a Cancún a depositare lo sperma e a visitare il centro dove la donna affittata avrebbe trascorso la gravidanza. Dopodiché ha pagato il “premio” alla “donatrice” di ovuli (sempre il solito linguaggio ipocrita e menzognero), e infine... sono rimasti con un palmo di naso.

E il Messico è divenuto un altro luogo molto gettonato per affittare uteri: le società che offrono tali servizi aprono con facilità, lavorano su internet e scompaiono con altrettanta facilità, per poi magari riapparire con un nuovo nome. Nel frattempo tanti genitori desiderosi di avere, pardon, comprare un figlio “costi quel che costi” (in senso monetario, ovviamente), restano delusi, imbrogliati, truffati.

A noi questo ci affligge molto poco: anzi per niente. Chi pratica il commercio, corre i rischi contrattuali del mercato.

A noi ci affligge – e molto – la sorte delle donne che si prestano per disperazione a un tale abominevole sfruttamento. A noi preoccupa – moltissimo – la sorte di quei bimbi, “figli di una cooperativa”, strappati dal seno della madre che li ha portati in grembo 9 mesi; che crescono orfani, senza radici, che prima o poi chiederanno conto e ragione delle loro origini. Per noi è angosciante che le persone vengano assemblate, comprate, vendute, affittate come cose, come oggetti, mentre tanti bambini in stato di bisogno aspettano dei genitori che vogliano adottarli. Ma per adottare, si sa, ci vuole tanto amore.