L’utero in affitto entra a tutti gli effetti nella legislazione portoghese e dal 1° agosto è possibile accedere a questa barbara pratica.
Come abbiamo scritto un anno fa, l‘iter seguito è stato un po’ tortuoso, perché chiaramente il tema è divisivo, ma alla fine ha vinto la lobby della morte.
I giornali ovviamente non fanno altro che ricordare i limiti della norma e la sua estrema circoscrizione ai soli casi di sterilità della donna – come ad esempio l’assenza di utero o una impossibilità a portare avanti la gravidanza – medicalmente accertati.
Non solo. Politici e giornalisti sottolineano con enfasi che la madre gestante (ovvero l’incubatrice umana, alla quale sarà strappato il bambino) deve essere fisicamente e psicologicamente preparata e controllata (ci mancherebbe!) e non sarà pagata, ma riceverà piuttosto un semplice rimborso per le spese mediche sostenute.
Eppure, tutte queste accortezze stanno a dimostrare il carattere orribile dell’utero in affitto. Per il bambino prima di tutto, privato di genitori certi e strappato alla donna che lo porta in grembo nove mesi; e poi per le donne, che si prestano a fare i contenitori umani per altri e per contratto dovranno ridurre al minimo – o, meglio, annullare – i rapporti col piccolo ordinato dalla coppia beneficiaria.
Non dimentichiamo poi il ricorso inevitabile alla fecondazione artificiale, che prevede l’eliminazione (leggasi omicidio) di innumerevoli embrioni (leggasi persone, figli) e di conseguenza la considerazione del bambino come un oggetto di proprietà, da commissionare e portare a casa una volta “preparato”.
Non esiste il diritto ad essere genitori. I figli sono un dono. E non è ammissibile che diventino oggetto di un contratto, sia pur ufficialmente legale. Tutto ciò, benché sia ammantato di progresso, di diritto e di amore, è in realtà uno squallido mercimonio che non ha alcun rispetto – lo ripetiamo – prima di tutto per il bambino stesso.
Redazione
Fonte: Maxima
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