Vasco Rossi si iscrive al Partito Radicale (o, meglio, si reiscrive) e dona i diritti della sua canzone “Vivere” al movimento pro-eutanasia che ne farà la colonna sonora per uno spot a favore della cosiddetta “dolce morte”.
Sebbene, come spesso si dice, uno dei concetti che si riscontrano con maggior frequenza nella produzione musicale del Blasco sia proprio la voglia di vivere, il piano è pur sempre quello strettamente individualistico, chiuso nella sfera privatistica in cui ogni volere assurge a ruolo di diritto. E proprio qui sta la duplice matrice di una profonda sconfitta: non tutto ciò che è nei desiderata di una persona può essere considerato cogente per l’intera comunità e per le Istituzioni ma soprattutto, fintanto che la singola esistenza viene vissuta solo ed esclusivamente per se stessi, la vita perde il proprio significato. Non è solo per il classico adagio di ispirazione aristotelica per cui l’uomo è un animale sociale: un conto sono le relazioni, altro sono la significanza delle stesse.
Perdere questo piano significa esaltare la vita solo come elemento strettamente contingente, estemporaneo e, per ciò stesso, appunto, perdente.
La ricerca della morte, nei secoli, viene descritta sotto vari aspetti e molteplici sono le interpretazioni. Ma non sempre è motivata da un mero piano individualistico: basti pensare al “viva la muerte” gridato dai soldati spagnoli o al più italico “chi è morto per la Patria è vissuto abbastanza”. Questi, ben lontani dall’essere la perdente espressione di un’esistenza privatistica, esaltano la vita per un senso sociale che essa andava ad assumere. Le ragioni possono anche non essere condivise, ma si deve constatare lo sviluppo trascendente di un’esistenza singola che cerca il proprio significato organico nella comunità in cui è inserita.
La triste rabbia di coloro che invece non riescono ad uscire dal proprio, seppur a volte meraviglioso, guscio sostanzia la decadenza di una civiltà. Quando tutto è permesso perché soggettivamente lo voglio e nulla mi interessa al di fuori dei miei desideri, la rete sociale si dissolve come il ghiaccio sotto il sale, un popolo diviene sempre più popolazione (cioè la fotografia burocratica della massa di individui che insistono sul medesimo territorio) e le popolazioni sono destinate a soccombere. Individualmente e collettivamente.
Sull’eutanasia tante cose sarebbero da dire –ed il nostro network cerca di contribuire in questo ogni qualvolta ci si trovi dinnanzi a riflessioni dovute od a casi di attualità- ma non si deve dimenticare che, oltre alle problematiche in ordine all’analisi del fine vita individuale, sia sotto l’aspetto biologico che spirituale, vi sono dei profondi risvolti sociali e collettivi.
I nuovi profeti, anche se con una rauca voce che riempie gli stadi, dovrebbero prestare un po’ più d’attenzione al messaggio sociale che veicolano, soprattutto che ciò che ne scaturisce è l’edonismo nichilista di chi cerca solo il proprio soddisfacimento personale.
Redazione