Nel 2021 si è costituito un comitato di ricercatori interessati ad analizzare i costi delle politiche abortive in Italia.
Qualsiasi governo dovrebbe monitorare le conseguenze delle leggi vigenti attraverso un’attenta analisi costi-benefici: il monitoraggio della l.194/78, che ha legalizzato l’aborto, dovrebbe risultare dalle relazioni annuali che il Ministero della salute presenta al parlamento, ma queste risultano lacunose, superficiali e incoplete. E così, questo gruppo di studiosi (di economia, diritto, medicina e ginecologia), capitanati dal professor Benedetto Rocchi dell'Università di Firenze, si sono messi a lavoro con l’obiettivo finale di migliorare la politica e l’assistenza sanitaria nel nostro Paese e hanno prodotto il Primo Rapporto sui costi della 194 che è stato pubblicato, appunto, nel 2021.
A quel punto si è deciso di dare una forma giuridica associativa al gruppo di lavoro e hanno costituito l’OPA: Osservatorio Permanente sull’Aborto. Pro Vita & Famiglia onlus è stata ed è tuttora promotrice dell'Opa e Toni Brandi (presidente di PV&F) e Francesca Romana Poleggi (membro del direttivo della onlus e direttore editoriale della Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia) sono inoltre tra i soci fondatori.
Lo scorso 12 giugno proprio l'Opa ha presentato in una conferenza stampa al Senato il suo secondo lavoro, il cui titolo completo è “Verso la privatizzazione dell’aborto - Secondo rapporto sui costi e gli effetti sulla salute delle donne della legge 194 in Italia”, con il patrocinio di ProVita & Famiglia, della SIBCE, dell'AIGOC e della Fondazione Il Cuore in una Goccia.
È stata aggiornata la stima dei costi finanziari dellaborto al 2020, anno per il quale abbiamo i più recenti dati ufficiali disponibili: il costo di applicazione della legge 194/1978 è stato di 59,6 milioni di euro nel solo 2020, una cifra che, se spesa diversamente, avrebbe permesso a 100.000 italiani poveri di affrontare meglio le proprie spese sanitarie.
Per poter aggiornare il dato, è stato necessario studiare e valutare le complicazioni sanitarie generate dall’aborto volontario a fronte di un’analisi dettagliata delle relazioni ministeriali e delle loro carenze e incongruenze su questo aspetto.
In particolare, si sono analizzati i dati relativi all’uso della Ru 486: ormai oltre un terzo degli aborti è effettuato con tale modalità chimica. La propaganda la promuove sostenendo che questa pratica abbia un minor costo in termini di degenza ospedaliera, una minore invasività procedurale e un approccio più accattivante e meno traumatico all’aborto stesso. Le complicanze dell’aborto chimico vengono descritte come “minori” o trascurabili, facendo passare l’idea che sia sicuro, semplice, rispettoso della privacy e della “autodeterminazione” della donna. E così si spinge affinché esso avvenga fuori dalle strutture ospedaliere “comodamente a casa”.
Questa narrazione dominante è sistematicamente ed inesorabilmente smentita dal lavoro dell’OPA.
In realtà le stesse relazioni Ministeriali sono costrette ad ammettere numerose carenze informative che rendono difficile ogni valutazione statistica della reale incidenza delle complicazioni e dei problemi post-abortivi di lungo termine. Nel Rapporto, allora, vengono analizzati i percorsi terapeutici assistenziali che si seguono per la somministrazione della Ru 486, che risultano molto meno agevoli per la donna rispetto a quanto generalmente viene affermato, e viene proposta un’ampia rassegna della più recente letteratura scientifica sulle complicazioni legate all’aborto chimico. Inoltre si propone una rivalutazione dell’incidenza delle complicazioni sanitarie legate all’aborto in genere, sulla base di nuova informazione statistica raccolta appositamente, in quanto le statistiche ufficiali sulle complicanze sono evidentemente sottostimate. Si conferma inoltre che l’incidenza delle complicanze per la salute della donna sono significativamente superiori nel caso dell’aborto chimico.
La progressiva privatizzazione dell’aborto, poi, contribuisce alla considerazione dello stesso come una pratica contraccettiva da usare quando falliscano altri metodi: questo avviene in palese violazione della stessa legge 194 e contribuisce alla banalizzazione della procedura e alla "cancellazione" della esistenza di un bambino allo stato embrionale che con laborto viene ucciso.
Il Rapporto inoltre prova che la cosiddetta “contraccezione di emergenza”, i cui effetti potenzialmente abortivi sono dimostrati da una solida evidenza scientifica, di cui parleremo un’altra volta, mette in discussione anche la narrazione del calo costante del tasso di abortività volontaria: tenendo conto di questo dato risulta evidente che gli aborti in Italia non sono affatto in diminuzione, anzi: in evidenza c'è la tabella 5, tratta dal Rapporto, che dimostra il trend in lieve crescita degli aborti in Italia: circa il 18% delle gravidanze finiscono con un aborto volntario. E se si aggiunge la stima degli aborti clandestini (circa 10 - 13.000 l'anno secondo il Ministero), si arriva al 20%.
Il lavoro dell’OPA vuole riportare al centro dell’attenzione l’aborto legale per quello che è nei fatti: la soppressione di una vita innocente, sia pur nei suoi momenti iniziali, che comporta gravi conseguenze anche sulla madre e alti costi materiali e sociali per la collettività.
Per informazioni sull'OPA e per scaricare gratuitamente i suoi Rapporti, visitate il sito www.osservatorioaborto.it
Fonte: Il Settimanale di Padre Pio