Un caso di coscienza gravissimo sta scuotendo la Francia, ormai da un po’ di tempo: si tratta di Vincent Lambert il paziente di 42 anni, tetraplegico, da diversi anni in stato di coscienza minima presso l’ospedale Chu Sébastopol di Reims, al centro di una terribile battaglia giudiziaria tra i suoi genitori, che stanno lottando per tenerlo in vita, e sua moglie che ha chiesto che venga lasciato morire di fame e di sete.
Per i giudici, continuare a nutrire il paziente in stato di coscienza minima, è «ostinazione irragionevole», eppure, persino i medici nominati dallo stesso tribunale non la pensano così. Ci riferiamo alla perizia medica che il tribunale ha fatto realizzare di recente, verso la fine del 2018 sulle condizioni di salute di Lambert che, è bene ricordarlo, non dipende da alcuna macchina per vivere. Secondo i risultati della perizia, «Lambert è in stato vegetativo cronico irreversibile e non può accedere ad alcun stato di coscienza», ma, contemporaneamente, secondo i medici, non subisce alcun accanimento terapeutico e continuare a nutrirlo non può essere considerato un «trattamento irragionevole od ostinazione irragionevole».
Nonostante tutto, il tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne ha condannato Vincent Lambert a morire di fame e di sete. Una sentenza che Jean Paillot, avvocato di Lambert, ha duramente contestato, sottolineando l’ostinazione dei giudici nell’andare persino contro il parere dei medici a cui loro stessi hanno affidato la perizia dalla quale sarebbe dovuta dipendere la loro decisione definitiva e di cui, ora, palesemente non si curano. Tuttavia, Paillot, contesta anche il lavoro dei dottori nominati dal tribunale, definendo la perizia eseguita “raffazzonata”: il riferimento dell’avvocato di Lambert, che lo rende sicuro del cattivo lavoro condotto, è una lettera scritta da più di 50 medici specialisti e indirizzata al tribunale in cui si contesta fortemente l’affermazione contenuta nella perizia, secondo cui Lambert non sarebbe cosciente.
In particolare, secondo questi esperti, è il metodo con cui si è arrivati a questo riscontro a non poter dare risultati affidabili: il paziente sarebbe stato esaminato per un totale di due ore e mezza, in due giorni diversi, alla presenza di sette sconosciuti. Invece, come si legge chiaramente nella lettera: «A causa della peculiarità di questi pazienti, la valutazione deve essere rinnovata in momenti diversi della giornata e in diversi giorni come raccomanda il professor Steven Laureys del Coma Science Group di Liegi, la Crs-r deve essere applicata al paziente per un minimo di cinque volte in 10 giorni perché i risultati siano considerati come affidabili. Una buona valutazione necessita anche di condizioni favorevoli: un ambiente stimolante e benevolente permettono al paziente di essere in fiducia, inoltre [serve] una valutazione da parte di una équipe pluridisciplinare formata all’osservazione, che abbia familiarità con il paziente e in relazione con i suoi cari. In ogni caso, bisogna qui richiamare la regola fondamentale secondo la quale una assenza di manifestazione di coscienza in un dato momento non significa l’assenza di coscienza».
Per cui, chiosano gli specialisti nella loro lettera, «dal momento che il signor Vincent Lambert non è in coma, né esposto a un rischio vitale, né in fin di vita, questa circolare relativa ai diritti dei pazienti deve essere rispettata». A questo punto appare davvero lapalissiana l’ostinazione immotivata dei giudici che stanno condannando a una morte inesorabile una persona innocente, trattandola come se fosse uno dei peggiori criminali della Francia. Per questo, i genitori di Lambert sono ricorsi d’urgenza in appello al Consiglio di Stato, a cui è aggrappata la loro ultima speranza, una vera e propria battaglia tra la vita e la morte, tra giustizia e oppressione, dalla quale speriamo Lambert ne esca più che vincitore.
Manuela Antonacci