Sul tema della famiglia e della vita, la Francia ha espresso negli ultimi decenni posizioni decisamente “progressiste”, al punto che ad oggi rappresenta un modello per i sostenitori dei falsi “diritti”, come eutanasia, utero in affitto e aborto.
L’aborto, in particolare è stato protagonista del defenestramento della libertà di opinione, con una legge liberticida (che ha introdotto il reato di ostacolo all’aborto) da poco convalidata dalla corte costituzionale.
Appare quindi doveroso, a pochi giorni dal ballottaggio del 7 maggio, che decreterà il nuovo Presidente francese, analizzare le posizioni assunte dai candidati su questi temi.
C’è da dire subito, comunque, che, indipendentemente dal vincitore, non c’è da essere allegri. La Francia, sui temi etici, si trova fra incudine e martello.
Emmanuel Macron, di estrazione socialista, non vede l’unico modello di famiglia naturale e si schiera apertamente a favore dei matrimoni gay, dichiarando orgogliosamente di aver “umiliato” gli oppositori con la legge del 2013 (riferendosi in particolare a La Manif pour Tous ) e ricevendo per questo aspre critiche dalla Manif.
Fra i suoi intenti l’allargamento della fecondazione artificiale, anche eterologa, a tutte le donne, anche alle single e alle coppie lesbiche. Accantona per ora l’utero in affitto (e già possiamo immaginare le lotte anti-discriminazioni sferrate da parte delle coppie omosessuali maschili), tuttavia Macron riconoscerà alle coppie i figli ottenuti all’estero tramite tale pratica; tale posizione è stata giudicata, a ragione, “ambigua”, perché apre di fatto le porte in Francia all’utero in affitto, per di più al di fuori di ogni paletto di legge.
Favorevole all’aborto, l’intento dichiarato è quello di allargarne l’accesso, includendolo all’interno del capitolo di spesa della pianificazione familiare. Verrebbe da chiedersi come si possa allargare ulteriormente l’accesso all’aborto in Francia: ormai resta solo il reclutamento ad personam nei reparti di ginecologia.
Sull’eutanasia il candidato, qui cauto, si dice favorevole ad aprire un dibattito perché ciascuno diventi “padrone della propria vita”.
Per contro, la candidata del Front National, Marine Le Pen, assume posizioni (moderatamente) più conservatrici. Il suo programma politico è incentrato sul nazionalismo (sono previsti ad esempio fondi destinati alle famiglie e alla natalità, ma limitatamente a persone di nazionalità francese) e il suo atteggiamento nei confronti dei temi più delicati è quello di rigetto verso le “novità”, ossia i temi ancora in discussione, come l’utero in affitto e l’eutanasia, mentre desta preoccupazione il suo silenzio / assenso su temi ormai datati, come l’aborto.
Proprio su quest’ultimo punto, la candidata ha cambiato la sua posizione nell’ultima decade, da una netta opposizione (nel 2002) e il dichiarato intento di cancellare la legge Veil, che ha legalizzato l’aborto nel 1975, a posizione più caute (2006) fino al riconoscimento del “diritto all’aborto”, ma senza eccedere nel numero (2012) e all’attuale assicurazione al popolo francese che non intende modificare di una virgola quanto finora previsto (2017) .
Questo voltafaccia, per il quale lei rivendica la libertà di ripensamento, lascia supporre che anche il dichiarato intento di cancellare la legge liberticida di “ostacolo all’aborto”, appena approvata, rischi di tradursi in un nulla di fatto.
Un altro tema su cui è aperto lo scontro con il suo oppositore è quello dei matrimoni gay: per la Le Pen la legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso va abrogata e sostituita dalle unioni civili. La proposta è però guardata con scetticismo anche dai suoi stessi sostenitori e va in una direzione che, palesemente, scontenterebbe tutti.
Insomma, ciò che appare evidente dai programmi molto confusi e superficiali di entrambi i candidati su questioni così importanti è che, seppur con le dovute differenze, entrambi non possono permettersi di avere posizioni “retrograde” a sostegno della vita. I “diritti” conquistati non possono essere revocati. Ed è questo il motivo per cui bisognerebbe valutare molto attentamente ciò che viene elevato a “diritto”.
Ma in questo scenario decisamente sconfortante cui assistiamo nella vicina Francia, un barlume di speranza sembra affacciarsi all’orizzonte. A dispetto del trend rilevato negli anni scorsi, infatti, i giovani tendono ora ad essere, a volte, più “retrogradi” (e, forse, meno opportunisti) delle vecchie generazioni: Marion Le Pen, giovane parlamentare francese, nonché nipote della candidata Marine, è infatti in rotta di collisione con la zia proprio sul tema dell’aborto, contestandole aspramente il fatto di aver disconosciuto la posizione ufficiale del partito sulla questione e di averlo fatto durante un talk show televisivo anziché nelle opportune sedi.
Marion, che ha anche marciato insieme a La Manif pour Tous , si è autodefinita “un incidente che vive bene” (il suo padre biologico è un noto giornalista e la madre avrebbe potuto abortire). La frase è stata pronunciata in risposta alla presidentessa della commissione degli affari sociali, che si “preoccupava” che alcuni bambini soffrissero sentendo i genitori parlare di loro come di “incidenti”. “Mi illumini. Cosa suggerisce?” – ha chiesto – “Che sarebbe stato meglio se fossero stati abortiti?”
La speranza sta quindi nelle nuove generazioni, meno accecate dalle furibonde rivendicazioni e pretese di diritti inesistenti che hanno tempestato gli scorsi decenni: che esse possano cominciare a ripensare seriamente e non ideologicamente alle questioni davvero importanti, come il sostegno incondizionato alla vita, dal suo concepimento alla sua naturale conclusione.
Giuseppe Fortuna
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