Oggi la Chiesa festeggia una festa che onora la vita: l’Annunciazione.
Anche per chi non è credente, tuttavia, la vita è un annuncio: un annuncio che è una chiamata alla responsabilità, un annuncio che è di speranza nel futuro, un annuncio che è un lampo (scientificamente avviene proprio questo, nel momento del concepimento) che irrompe a mutare le certezze e apre ad altro...
E la vita è un annuncio che è anche un mistero: non la creiamo noi la vita, siamo dei semplici collaboratori (in maniera pressoché involontaria: chi sa quando quella vita cui si è aperti sboccerà realmente?), e non la facciamo crescere noi, tutto ha un suo ordine, una sua logica che sfugge nell’inconsapevolezza di quei primi attimi, giorni, settimane... e a seguire, non si sa fino a quando.
Oggi, dunque, vogliamo parlarvi di una vita che si è annunciata e che, seppur breve e agli occhi del mondo forse anche “inutile”, ha portato frutti immensi. A raccontarla è la stessa mamma, Silvia Fasana, nel libro “Giacomo, il mio piccolo missionario” (Itaca, 2017).
Scriveva Rodolfo Casadei su Tempi, sintetizzando la vicenda: «Silvia vive da quattro anni a Dubai con tre figlie e il marito Roberto Avallone, consulente della Emirates Global Aluminium. Resta incinta del quarto figlio e alla seconda visita di controllo, che fa mentre il marito è in viaggio in Italia, scopre che il bimbo da poco concepito è anencefalico, cioè privo della maggior parte del cranio e del cervello. Fuori dal ventre materno non potrà vivere. I medici freddamente propongono l’aborto come la strada meno gravosa, e perfettamente legale, per uscire dall’incubo. Silvia rifiuta sdegnosamente, poi tentenna, poi insieme al marito decide che quel figlio sarà amato e portato in grembo come gli altri, pregando che avvenga il miracolo della sua guarigione ma anche disponendosi a celebrare una nascita e un funerale nello stesso giorno».
Silvia e Roberto, dunque, scelgono di dare una possibilità a quel loro figlio, a quella vita così fragile nel suo estremo bisogno di essere semplicemente amata. E Silvia si sente vicina alla storia di Chiara Corbella Petrillo, cui la nostra onlus è dedicata, e a lei rivolge pensieri e preghiere.
Giacomo, questo il nome del bimbo che nascerà, vivrà solo 7 ore e 44 minuti, ma il tempo è relativo perché la sua breve vita ha portato – e continua a portare – immenso frutto, nella sua famiglia e in tutto il mondo.
Infatti, come disse madre Rachele Fassera a Silvia, regalandole una cornice di senso capace di abbracciare anche il dolore: «Il tuo Giacomo è un evangelizzatore. È un piccolo missionario. Lui, con la sua vita e la sua presenza, dice sì alla vita. Il Signore ti fa andare in giro fra medici e ospedali perché vuole che tu dica a tutti che Giacomo c’è e che tu non hai voluto abortire. Perché la sua vita vale».
Giacomo ha reso carne un concetto spesso ripetuto ma che rischia di rimanere pura teoria: l’amore vero è una donazione gratuita e totale di sé, senza pretese e senza sconti rispetto alla fatica e al dolore, che rimangono ma vengono trasfigurati.
Giacomo la sua vita l’ha donata e i suoi genitori hanno donato la loro, di vita, per accogliere questo annuncio.
Teresa Moro
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’aborto