La mamma, Hollie, dice che ha lottato come un leone nelle due ore in cui è rimasto privo di sussidi per respirare.
Un'agonia di due ore.
Perché - nel suo "best interest", nel suo miglior interesse, i medici e i giudici (forse in questo caso sarebbe più opportuno chiamarli boia) hanno deciso che la sua vita non era degna di essere vissuta. Non solo. Hanno deciso che non meritava neanche la palliazione che poteva offrirgli un hospice e che la madre aveva chiesto come ultimo desiderio, dopo che tutti gli avevano negato il diritto di prendersi cura del figlio disabile, anche fuori dall'Inghilterra (Italia e Giappone erano disposti a ricoverarlo).
Archie ora è tra i più e siamo certi sta meglio di tutti noi. I genitori e quelli che gli hanno voluto bene, però, potranno trovare qualche consolazione solo se Dio li aiuta.
È stato ingiustamente ucciso da i cultori della morte. Da quelli che si arrogano il diritto di dire chi può e non può vivere. E che negano il diritto di vivere ai fragili, ai bambini nel grembo, ai disabili, agli anziani. Sarebbe interessante chiedere a Cappato e soci dov'è qui la famosa "autodeterminazione".
Non possiamo però dimenticare che Archie è stato vittima di una stupida challenge, una sfida, uno di quei giochi pericolosi che girano su internet e nei social: non cesseremo mai di rilanciare la nostra campagna "TuteliAMOli in rete": internet è uno strumento straordinario per conoscere e comunicare. Ma è un mondo popolato da lupi e volpi feroci dove i più fragili, specialmente i ragazzini, ma non solo, corrono rischi che non si possono sottovalutare.
Che la triste fine di Archie serva almeno a far ragionare genitori e figli su questi pericoli e possa salvare così vite innocenti o persone sprovvedute.
Che la morte di Archie serva almeno a far ragionare quelli che promuovono l'eutanasia e il suicidio assistito: dalla "morte per scelta" alla "morte per obbligo", come nel caso di Archie, Charlie, Alfie e tanti altri, il passo purtroppo è molto breve.
A Dio, Archie.