Sono passati 15 anni esatti dall’approvazione - appunto il 15 marzo - della legge 38/2010 sulle cure palliative. La norma, che si intitola "Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore" entrò poi in vigore il 26 marzo successivo e rappresenta tutt’oggi una delle normative più avanzate in Europa in materia di diritto alla salute. Il suo obiettivo principale è garantire a ogni cittadino il diritto a non soffrire inutilmente, assicurando l’accesso equo e uniforme alle cure palliative e alla terapia del dolore in tutto il territorio nazionale. Una legge che però, nonostante questi 15 anni, rimane ancora non solo spesso inapplicata o applicata male, ma in alcuni casi anche quasi completamente sconosciuta. Una vera macchia, se pensiamo che, appunto, ha a che fare con la vita delle persone e con il loro accompagnamento proprio nelle fasi più drammatiche e finali della loro vita.
I dettagli delle legge 38/2010
La legge si applica a due ambiti fondamentali. Il primo è quello delle cure palliative, destinate ai malati inguaribili e in fase avanzata, con l’obiettivo di alleviare la sofferenza e migliorare la qualità della vita attraverso un’assistenza integrata che include il controllo del dolore, il supporto psicologico e spirituale e il sostegno alle famiglie. Il secondo riguarda la terapia del dolore, che interviene nella gestione del dolore cronico, sia di origine oncologica che non oncologica, attraverso un approccio medico multidisciplinare che include trattamenti farmacologici e tecniche specialistiche. Uno degli elementi chiave della legge è l’istituzione di una rete nazionale per le cure palliative e la terapia del dolore, con l’obbligo per ogni Regione di organizzare servizi adeguati e accessibili. Fu inoltre semplificata la prescrizione di farmaci analgesici, in particolare degli oppioidi, eliminando barriere burocratiche che in passato ne rendevano difficile l’utilizzo. La normativa sottolinea il principio della centralità del paziente, che ha diritto a un piano terapeutico personalizzato, alla piena informazione sulle opzioni di cura e a un’assistenza che rispetti la sua dignità. Venne anche riconosciuto il ruolo fondamentale della famiglia, con misure di supporto per chi assiste i malati in casa. Un aspetto innovativo della legge fu anche l’attenzione alla formazione e alla ricerca: il personale medico e infermieristico, infatti, è da allora tenuto a ricevere una preparazione specifica per garantire cure di qualità e promuovere un uso corretto della terapia del dolore. Inoltre, il Ministero della Salute ha il compito di monitorare l’effettiva attuazione della normativa e la qualità dei servizi offerti sul territorio.
Poca applicazione e scarsa informazione
Proprio l’effettiva attuazione della normativa e la diffusione capillare delle cure palliative sono oggi le più grandi - e per certi versi vergognose - criticità che la legge continua ad avere dopo ben 15 anni dalla sua attuazione. La norma, infatti, come accennato poc’anzi, è ancora poco conosciuta e applicata in modo disomogeneo. I motivi di questa situazione sono molteplici e riguardano sia le istituzioni sanitarie che la consapevolezza della popolazione. Nonostante la normativa stabilisca il diritto di ogni cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore, infatti, l’organizzazione dei servizi dipende dalle Regioni, molte delle quali non hanno sviluppato una rete adeguata di assistenza, lasciando intere aree del Paese prive di strutture dedicate, come hospice e unità di cure domiciliari. Ci sono enormi differenze tra Nord e Sud, con alcune Regioni che offrono servizi avanzati e altre dove l’accesso è quasi impossibile. Un altro ostacolo è poi la scarsa conoscenza della legge da parte dei cittadini e degli stessi operatori sanitari. Molte persone che potrebbero beneficiare delle cure palliative non ne fanno richiesta semplicemente perché non sanno di avere questo diritto e anche molti medici di base non sono adeguatamente formati sul tema e non indirizzano così i pazienti verso le strutture specializzate.
Posti letti limitati
Un’altra, grande, carenza, è quella dei posti letto, se pensiamo che gli Hospice in Italia, ad, oggi, sono ancora pochi, l’assistenza domiciliare è spesso limitata e i servizi di supporto psicologico e spirituale, previsti dalla normativa, sono disponibili solo in alcune - sempre pochissime - realtà. Secondo i dati più recenti, infatti, nel 2021 erano attivi 307 hospice sul territorio nazionale, di cui 7 pediatrici. Tuttavia, la distribuzione di queste strutture era disomogenea: il 52,9% al Nord, il 27,45% al Centro e solo il 19,6% al Sud. Per garantire un adeguato accesso alle cure palliative, gli standard nazionali prevedono la presenza tra gli 8 e i 10 posti letto ogni 100.000 abitanti. Considerando la popolazione italiana di circa 60 milioni di persone, sarebbero necessari tra i 480 e i 600 hospice.
Oltre 400mila adulti e più di 7mila bambini senza cure palliative
I deficit dell’applicazione della Legge 38 sono però, purtroppo, concreti anche nei numeri delle persone che davvero riescono ad accedere alle cure palliative. Secondo una ricerca del CERGAS dell'Università Bocconi, infatti, si stima che ogni anno da un minimo di 450.000 fino a un massimo di 540.000 adulti necessitano di cure palliative. Ragionando per eccesso e secondo le statistiche, solo il 33% (nelle Regioni migliori) di questi riceve l'assistenza adeguata, lasciando scoperti circa 419.000 pazienti. Soprattutto a livello regionale emergono significative disparità: la Lombardia, per esempio, con un fabbisogno stimato di 83.176 pazienti, offre una copertura del 33%, risultando la regione più virtuosa. Al contrario, la Calabria registra una copertura del 17%, mentre la Campania si attesta al 18%, evidenziando una grave carenza nell'assistenza palliativa. Come se non bastasse le cure palliative pediatriche presentano criticità ancora maggiori: circa 10.600 minori necessitano di cure palliative complesse e ad alta intensità assistenziale (il totale stimato potrebbe arrivare addirittura fino a 35.000), ma solo il 26% ha accesso alle strutture dedicate.
Mancano 10 miliardi di euro all’appello
Su quanti soldi si spendano attualmente per le cure palliative in Italia non ci sono dati certi. Sì può però arrivare, seppur in modo approssimativo, a dei numeri verosimili e molto vicini alla realtà. Secondo i dati reperibili online da riviste e quotidiani specializzati (come Quotidiano Sanità o Il Sole 24 Ore) e incrociando le statistiche che alcune Regioni hanno nel tempo divulgato, è abbastanza certo affermare che il costo medio di ogni singolo paziente in Italia per le cure palliative negli Hospice sia di 299,60 euro al giorno negli Hospice. Una cifra che non va moltiplicata per un intero anno, poiché la durata media di una degenza negli Hospice è di 90 giorni, oltre i quali la situazione si evolve (in positivo o in negativo) oppure si valutano sempre altre forme di assistenza, come tra l’altro riportano gli stessi siti informativi degli Hospice. Volendo dunque tener federe a questi dati,si può concretamente e in modo veritiero affermare che ogni anno in Italia un singolo paziente che usufruisce di cure palliative in Hospice ha un costo di circa 27mila euro.
Ora, tenendo fede agli altri dati poc’anzi snocciolati, ovvero quelli sugli ingressi effettivi dei pazienti adulti per le cure palliative e quelli sul totale di quanti avrebbero bisogno di cure, si può fare allo stesso modo un rapido calcolo e capire quanti soldi vengono attualmente spesi per le cure palliative in Italia e quando, invece, si dovrebbe spendere. Per chi oggi riesce ad accedere a questo percorso negli Hospice (ovvero tra i 148.500 e i 178.200 adulti), si spendono tra i 4 e i 4,8 miliardi di euro. Il calcolo, però, diventa drammatico se si considerano quanti, in totale, avrebbero bisogno di queste cure, sempre tenendo conto dei costi previsti dentro gli Hospice, ovvero tra i 450.000 e i 540.000. Questo significa che i miliardi che dovrebbero essere spesi per le cure palliative in Italia ammontano tra i 12 e i 14,5 miliardi. Praticamente, volendo ipotizzare - seppur si tratta di uno scenario molto ipotetico e oggettivamente poco realizzabile - che ogni paziente che ha bisogno di cure palliative abbia la possibilità di andare in un Hospice, per una durata media di tre mesi, allora c'è ancora un bisogno, nel nostro Paesei, di quasi 10 miliardi di euro in più.
Più cure portano a meno richieste di morte
La questione di una maggiore diffusione delle cure palliative è sempre di attualità nel nostro Paese, soprattutto alla luce dell’attualità politica proprio sul tema del fine vita. Nelle ultime settimane, infatti, sono tornate forti le spinte a favore del suicidio assistito in particolare da parte di progressisti e Radicali. L’ultimo caso riguarda la Regione Toscana, la prima in Italia ad approvare una legge per regolamentare l’accesso al fine vita, mentre altre realtà - come Veneto, Piemonte e Lombardia - avevano in precedenza respinto questa strada. Sul tavolo c’è non solo la volontà ideologica e politica di aprire o meno al fine vita, ma anche il fatto che proprio l’implementazione delle cure palliative va di pari passo con una minor richiesta di pratiche come il suicidio assistito e l’eutanasia. E a dimostrarlo sono gli esempi degli altri Stati proprio dove tali strade sono da anni consentite per legge. L’ultimo, in ordine cronologico, esempio arriva dal Belgio. Nel Paese, infatti, non solo si è arrivati ad un boom di richieste (ben 4.000 nel solo 2024), ma è ora molto chiaro - come ha dichiarato il dottor De Loch, un medico belga - «che se non siamo ben accuditi chiederemo più facilmente di morire perché ovviamente nessuno vuole soffrire». Appare infatti evidente che laddove non sono contemplate - o messe davvero in pratica - le cure palliative, i pazienti, abbandonati a se stessi, chiedono maggiormente di farla finita. E questo accade in realtà non tanto perché desiderino davvero la morte, quanto piuttosto perché non vengono loro offerte delle alternative adeguate.