13/11/2012

Aborti in calo, ma il dramma resta

Anche quest’anno sono stati pubblicati dal ministero della Salute i dati relativi all’applicazione della legge 194, che dal 1978 regolamenta il ricorso alle interruzioni di gravidanza. Nel 2011, nel nostro territorio nazionale ci sono state 109.538 Ivg (5,6 per cento in meno rispetto al 2010), di queste circa 73 mila riguardano cittadine italiane e 34 mila le immigrate (in aumento ormai costante negli ultimi anni). Il ricorso alla RU486 (il cosiddetto aborto chimico) è avvenuto solo in settemila casi. Non si evincono i dati relativi all’uso della cosiddetta “contraccezione d’emergenza” (pillola del giorno dopo e simili) che con il suo aumento potrebbe mascherare la reale diminuzione di Ivg, che avverrebbero lo stesso ma in una fase precocissima della gravidanza.

Bisognerà analizzare con più attenzione i dati, ma il fenomeno è ormai conosciuto e ci permette di fare alcune considerazioni: nel nostro Paese ogni anno più di 100 mila donne vivono sulla propria pelle il dramma dell’aborto, una ferita indelebile che, se da un lato sembra “eliminare” il problema immediato della nascita di un figlio inaspettato, dall’altro porta con sé conseguenze per la vita. Basta chiedere a qualsiasi operatore di consultorio sia pubblico che del privato sociale per confermare questo dato, che ci mostra una grave carenza nelle campagne di prevenzione dell’aborto. I costi sociali di ogni Ivg sono altissimi per l’incidenza della sindrome post-aborto e la depressione che ad essa è associata, per i casi di separazione familiare conseguenti, per il vissuto di precarietà che gli altri figli si troveranno a vivere.

Le problematiche economiche sono una delle principali cause del ricorso all’aborto e queste, insieme all’isolamento sociale, sono l’orizzonte all’interno del quale matura la scelta di tante donne, soprattutto delle immigrate. Un ulteriore negazione di quelle pari opportunità che tanto si proclamano nei nostri programmi di politica sociale.

Molte sono le strategie che potrebbero essere messe in campo per ridurre drasticamente questo terribile fenomeno, prima fra tutte una reale collaborazione fra  gli attori che lavorano nel sociale, siano essi pubblici che privati, laici o di ispirazione cristiana. Partire dall’ammissione che l’aborto è sempre una sconfitta e che la solitudine della donna, spesso presentata ipocritamente come sua autodeterminazione, è l’humus nel quale matura la scelta dell’aborto. Tra le diverse possibilità d’intervento, bisognerebbe dare la precedenza ai più giovani aiutandoli a dare un senso ai propri gesti, alle emozioni, all’amore, alla paternità e maternità, per giungere all’obiettivo vero di un’educazione efficace: la responsabilità.

di Daniela Notarfonso

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