Negli Usa, i sostenitori dell’aborto al nono mese avranno ora qualche filo da torcere. Sono almeno 30 mila i medici americani, appartenenti all’American College of Pediatricians, all’Associazione degli Ostetrici e dei Ginecologi pro life e ad altri istituti, a sostenere che la soppressione del feto, anche a ridosso della nascita, non è mai necessaria per salvare la vita della madre.
In un articolo pubblicato su The Public Discourse, rivista del Witherspoon Institute, hanno argomentato il loro sostegno al Born Alive Abortion Survivors Protection Act, il disegno che andrebbe a garantire le cure ai bambini sopravvissuti all’aborto, bocciato nelle scorse settimane al Senato e definito dai Democratici un attacco alla «salute delle donne». Secondo i 30 mila medici pro life, tuttavia, «l’aborto non cura alcuna malattia», anche perché «la gravidanza non è una malattia e l’uccisione deliberata di un bambino non ancora nato non ha nulla a che vedere con le cure sanitarie». Pertanto non sarebbe mai necessario abortire, nemmeno se, nelle ultime settimane della gravidanza, la vita della madre fosse in pericolo.
«Dopo venti settimane di gestazione, non è mai necessario uccidere intenzionalmente il feto per salvare la vita della donna», si legge nell’articolo del Public Discourse. «Nel caso in cui la vita della madre fosse realmente a rischio nell’ultima fase della gravidanza, non c’è più tempo per l’aborto, perché l’aborto generalmente si pratica nell’arco di due-tre giorni. In queste situazioni, al contrario, il parto immediato è necessario e si può compiere con la modalità (travaglio indotto o cesareo) che il medico ritiene più opportuna».
I medici pro life illustrano poi le discriminazioni che il disegno di legge bocciato al Senato affronta. «Non vi è alcun motivo», scrivono, «per distinguere tra esseri umani nati dopo un tentativo di aborto ed esseri umani nati dopo un tentativo di nascita indotta. Gli stessi principi si applicano nei casi in cui il feto riscontri delle disabilità o patologie gravi, come l’anencefalia, che lo condurrebbero presto alla morte. Gli esseri umani disabili dalla nascita meritano lo stesso rispetto e la stessa dignità dei bambini normodotati allo stesso tempo di gestazione».
L’opzione indicata dai medici pro life per i bambini nati con patologie letali è quella dell’”hospice perinatale“;, una soluzione che «fornisce cure ottimali per la madre, onora la vita del figlio e consente alla famiglia di riconoscere, amare e piangere il suo nuovo membro», si legge nell’articolo che porta la firma dei seguenti specialisti: Donna J. Harrison, direttore esecutivo della American Association of Pro-Life Obstetricians and Gynecologists; Michelle Cretella, direttore esecutivo American College of Pediatricians; John Schirger, presidente del Catholic Medical Association; David Stevens, amministratore delegato del Christian Medical & Dental Associations; Jane Orient, direttore esecutivo della Association of American Physicians and Surgeons.
Luca Marcolivio