26/08/2019

Aborto ed eutanasia, Stelio Fergola: «Religioni del nulla», lugubri «atti di fede»

Una narrazione spacciata come “progressista”, dietro alla cui apparenza rassicurante si celano lugubri istanze di morte e di nichilismo. Il dibattito sull’eutanasia, oltre ad essere ormai diventato una questione europea e mondiale, sta coinvolgendo sempre più studiosi e intellettuali. Non sono più soltanto cultori della materia, medici, biologi, giuristi, filosofi e teologi a trattarne ma anche blogger, giornalisti e scrittori. Tra questi ultimi figura Stelio Fergola, divulgatore di temi bioetici e autore del libro La cultura della morte. Aborto, eutanasia e vangelo progressista (La Vela).

Intervistato dal webmagazine barbadillo.it, Fergola si è soffermato inizialmente sul caso Lambert, «evidentemente differente da quello di Dj Fabo», in quanto il secondo, a differenza del primo, aveva esplicitato la sua volontà di morire. «È probabile che molti preferirebbero chiudere la propria esistenza, ma non è una cosa scontata: non abbiamo nessuna idea del valore che daremmo – per fare un esempio spicciolo – anche a una semplice stretta di mano data da un nostro caro, anche se impossibilitati a muoverci e a esprimerci», ha commentato lo scrittore.

In merito all’orientamento cattolico-tradizionalista dei genitori di Vincent Lambert, Fergola ha osservato come, in queste controversie, la religione tenda ad avere «un peso storico ma non attuale», in quanto la società odierna «propaganda senza pietà orrori come l’aborto come se fossero protocolli sanitari qualsiasi, o la stessa eutanasia», facendo passare «l’idea che la difesa e la cura dei malati sia un’opzione facoltativa e sempre meno preferibile, in favore di uno Stato che si libera facilmente di spese onerose nella cura delle persone in grave stato come sono appunto i disabili».

Fergola cita quindi il nome di Jacques Attali, consigliere e stratega di due presidenti francesi (oggi Macron e, in passato, Mitterrand), che già nel 1981, affermava: «La vita è costosa, sarà meglio rinunciare a curarla fino in fondo per non sostenerne le spese sociali». L’attuale perdita del senso del sacro, dunque, si accompagna a una perdita del senso della sacralità della vita, spesso in nome di «calcoli puramente economici». In pochi riescono invece a comprendere che «la cura fino alla fine di malati che oggi possono essere considerati terminali può aiutare nella risoluzione di futuri (remoti o meno che siano) casi simili».

Specularmente l’aborto e l’eutanasia, secondo Fergola, possono essere visti come «religioni del nulla», perché «propagandano con la stessa energia dogmatica di una religione i loro precetti». L’aborto, ad esempio, è un «vero atto di fede», in quanto coloro che lo sostengono e che lo compiono rifiutano di «riflettere sulle possibili alternative, come le adozioni e le numerose coppie senza figli che sarebbero ben felici di accoglierne qualcuno in fasce». Altra ricorrente e fallace argomentazione: la gravidanza indesiderata viene vista come un «disagio» da interrompere al più presto: è «crudele oltre ogni misura» se, in nome di ciò, si va a «impedire a un qualsiasi individuo di avere l’occasione di esistere», afferma lo scrittore.

In conclusione, riguardo all’eutanasia, Fergola non esclude che «sempre più magistrati utilizzino la solita “tattica” di approvare suicidi assistiti all’estero, come avvenuto nel caso di DJ Fabo. Oppure che si moltiplichi l’applicazione in altri casi più estremi come quello di Eluana Englaro». Sullo sfondo rimane il grave mutamento antropologico per cui, se prima il principio era la «cura dell’individuo fino alla fine», oggi si sta affermando quello della «cura dell’individuo fino a quando rimane economicamente sostenibile».

Luca Marcolivio

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