In occasione della Santa Pasqua non si può non avere Speranza. E ci aggrappiamo con le unghie e con i denti a una notizia pubblicata dal Sole 24 ore, nella quale vogliamo vedere un barlume di speranza su un’inversione di tendenza nella mentalità dominante a proposito dell’aborto.
Un barlume, piccolo, ma nel buio della cultura della morte, una piccola luce può dare molto conforto.
Una donna, come purtroppo accade sempre più spesso, ha chiesto il risarcimento per la nascita (ahinoi, questa è la moda) indesiderata di un figlio senza una mano.
I medici che non si sono accorti della malformazione, le avrebbero negato il “diritto” all’aborto “terapeutico”, cioè alla pratica dell’eugenetica che riconosce il diritto di vivere solo ai bambini “perfetti”.
La Corte di Cassazione ha negato alla donna il diritto al risarcimento.
La motivazione in parte, invero, anziché dare speranza è inquietante. Dice Il Sole: «Nel caso esaminato i giudici hanno accertato che la mancanza della mano sinistra non poteva considerarsi anomalia “rilevante” per la legge. L’handicap con il quale era nato il bambino non era idoneo a incidere sulla vita e sulla salute della ricorrente».
Ciò che inquieta in questa asserzione è questo: dato che ci sono anomalie “rilevanti” che consentono l’eliminazione del bambino con l’aborto “terapeutico”- eugenetico, ex l. 194/78, chi decide quando l’anomalia è “rilevante” o no? La mancanza di una mano non è rilevante. E se i genitori fossero dei pianisti? Quella di un piede? La sindrome di Down? La sordità? La cecità? I Lettori capiscono bene che è disumano mettere una linea di confine tra chi ha diritto di vivere e chi no.
La vita è sacra sempre (e lo è anche per i “laici” e gli atei che si lasciano guidare dalla ragione naturale). Anche la persona più gravemente colpita da malattie o disabilità è una persona, in grado di instaurare una relazione, per quanto incomprensibile e misteriosa. E’ – in quanto persona – in grado di costruire un rapporto di vero amore con chi le sta accanto. E parlo per esperienza vissuta.
Quel barlume di speranza, però, vogliamo scorgerlo laddove i giudici ribadiscono che l’aborto oltre i 90 giorni «diventa, infatti, una via eccezionale», e che «la legge italiana non prevede il cosiddetto aborto eugenetico a prescindere dal grave pericolo per la vita o la salute fisica o psichica della donna [a parole, almeno, è così. Ma nei fatti, purtroppo l’eugenetica imperversa!]. L’ordinamento, pur riconoscendo un diritto alla procreazione cosciente e consapevole nega l’accesso all’aborto se non quando è fortemente a rischio la madre».
Ho sottolineato il “vogliamo”, perché forse il clima pasquale ci rende eccessivamente benevolenti.
Oggi come oggi vengono di fatto eliminati con l’aborto centinaia di migliaia di bambini sanissimi, entro il terzo mese. Oltre il terzo mese molti medici di fatto praticano l’aborto su bambini con malformazioni lievi, come quella di cui si tratta, o il piede torto, o il labbro leporino, o la sindrome di Down... Ma chissà che questa sentenza sia segno di un cambiamento della mentalità, anche degli abortisti?
Vogliamo e dobbiamo sperare, soprattutto a Pasqua.
Francesca Romana Poleggi
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