Abbiamo più e più volte parlato delle pillole che uccidono, dell’aborto fai-da-te travestito da “contraccezione d’emergenza”.
Siamo tornati sull’argomento con questo articolo, apparso sul quotidiano La Croce del 2-4-2015, n.58, a pag. 2, che fa il punto della situazione e riassume le vicende (e le menzogne) che girano, anche in ambiente scientifico, a proposito della pillola dei 5 giorni dopo, ellaOne, e degli enormi interessi economici che sono alla base di tutto.
In questa seconda parte si mette in luce il grosso giro di affari che si muove dietro le pillole che uccidono. Per leggere, invece, la prima parte, cliccare qui.
Per capire gli enormi interessi economici che ruotano attorno a questo farmaco, è utile tornare ora al recente annullamento da parte dell’AIFA dell’obbligo di prescrizione medica per il farmaco.
Era il 7 gennaio 2015, quando la Commissione Europea approvò per EllaOne la raccomandazione agli Stati membri di eliminare l’obbligo di prescrizione, in virtù dell’eliminazione della gravidanza in atto tra le controindicazioni all’uso del farmaco, nonché dell’eliminazione dal foglietto illustrativo della segnalazione del possibile effetto antinidatorio: tale decisione faceva seguito alla domanda presentata all’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) da parte dell’azienda HRA Pharma, proprio quella produttrice di EllaOne, per la modifica del regime di fornitura da “medicinale soggetto a prescrizione medica” a “medicinale non soggetto a prescrizione medica”, domanda favorevolmente accolta dall’EMA già il 21 novembre scorso (EMA/710568/2014).
Come comprensibile, tale raccomandazione europea suscitò subito non poche perplessità sulla stampa tra numerosi ginecologi e associazioni pro-life: particolare nota di merito va all’On. Gianluigi Gigli, Neurologo e Professore Ordinario di Neurologia all’Università di Udine, nonché neopresidente del Movimento per la Vita, che fu l’unico, col suo gruppo parlamentare, a farsi espressione di queste perplessità in Parlamento, presentando un’interpellanza prolife in merito (Gigli, Dellai n. 2-00800 del 16-01-2015): una decisione presa in sede europea, infatti, ai sensi dell’art. 4, comma 4, della direttiva europea 2001/83/CE, non necessariamente deve essere recepita dagli Stati membri, essendo contraccezione e aborto materie non vincolanti; in virtù di questo Gigli, dopo aver fornito al Ministero della Salute un corposo plico di letteratura scientifica a supporto del meccanismo antinidatorio di EllaOne e dopo aver sottolineato che accettando la direttiva tale meccanismo sarebbe scomparso dal “bugiardino” italiano del farmaco con grave disinformazione perpetrata ai danni delle donne, chiese al Sottosegretario alla salute se il Ministero intendesse recepire la direttiva europea o piuttosto opporsi a una vicenda «sostenuta da interessi economici e commerciali a dir poco giganteschi». Molto illusoria, se letta col senno di poi, fu la risposta del Sottosegretario, il quale dapprima ricordò che il parere positivo dell’EMA a riguardo «non è stato preso all’unanimità, bensì a maggioranza: 21 votanti su 31, e che l’Italia ha espresso il proprio parere contrario» in virtù «della contestata mancanza di dati scientifici sufficienti per trarre conclusioni certe circa l’assenza di effetti fetotossici o teratogenetici»; sottolineò poi la necessità di «rimettere la questione al Consiglio superiore di sanità (CSS)», che quasi all’unanimità il 10 marzo si è espresso per il mantenimento della prescrizione medica per tutte le donne indipendentemente dall’età «per evitare gravi effetti collaterali nel caso di assunzioni ripetute in assenza di controllo medico».
L’orientamento negativo espresso in sede europea dai tecnici dell’AIFA nella votazione di novembre era stato quindi sostanzialmente confermato dal CSS e, sebbene l’AIFA non fosse obbligata ad aderire al parere del CSS, decidendo diversamente avrebbe di fatto smentito i suoi stessi tecnici che la rappresentano in Europa nonché il più autorevole organo di consulenza scientifica del Ministero della Salute; cosa che poi è incredibilmente avvenuta il 25 marzo scorso, quando l’AIFA ha deciso di rigettare il parere negativo del CSS, approvando la vendita di EllaOne in farmacia senza ricetta, fatta eccezione per le minorenni, il che significa di fatto equiparare gli effetti collaterali del farmaco a quelli di altri farmaci da banco.
Una decisione quella dell’AIFA a dir poco schizofrenica e incomprensibile, soprattutto alla luce delle dichiarazioni che lo stesso d.g. dell’AIFA, Luca Pani, ha rilasciato dopo il pronunciamento: «Il farmaco non ha grandi problematiche, ma sull’uso ripetuto e incontrollato non ci sono dati sufficienti per garantirne la sicurezza». Incredibile! Ma se non ci sono dati sulla sicurezza in caso di uso ripetuto e incontrollato, chi verifica che non si faccia un simile uso visto che il farmaco può ora essere preso senza ricetta medica? Perché non controllarne l’uso tramite prescrizione? Non sarebbe stata questa una scelta nell’interesse delle donne, come giustamente auspicato dal CSS? Lo stesso Pani infatti, poco più di un mese fa, ammetteva la necessità di «evitare che questo contraccettivo d’emergenza venga utilizzato come una caramella dopo la discoteca»: che senso ha allora mantenere l’obbligo di prescrizione per le minorenni se ad esse si dà allo stesso tempo la possibilità di aggirare facilmente l’ostacolo chiedendo di acquistarlo ad un’amica maggiorenne? Ricacciare le donne nella solitudine dell’aborto clandestino tramite il possibile acquisto di dosi multiple è nel loro interesse? E infine, che ne sarà dell’esercizio della clausola di coscienza da parte di medici e farmacisti, se l’effetto antinidatorio viene poco scientificamente negato grazie a studi promossi dall’azienda produttrice?
A spiegare i veri motivi di questa direttiva europea è Renzo Puccetti, medico e docente di bioetica, membro della Research Unit dell’European Medical Association e vicepresidente dell’associazione “Vita è”, secondo il quale tale raccomandazione è dettata da «una forte spinta commerciale, per cui la HRA Pharma ha promosso studi disegnati e letti in modo tale da minimizzare gli effetti abortivi della sua molecola. L’UPA, infatti, ha pressoché la stessa indicazione del Levonorgestrel (“pillola del giorno dopo”) ma è più costoso; per questo, su 1 milione e 200 mila confezioni di pillole post-coitali vendute in Francia, solo 46 mila erano di UPA, nemmeno un ventesimo del totale»: tale numero ora potrà essere sicuramente aumentato grazie alla vendita senza prescrizione a livello europeo.
Logiche politiche e di profitto, quindi, che mirano a garantire facile accesso all’aborto chimico, mascherandolo come contraccezione, hanno quindi prevalso su ogni ragionamento di carattere scientifico, con ripercussioni gravissime non solo per la libertà di agire secondo coscienza del personale sanitario, ma soprattutto per la salute e la corretta informazione delle donne: omettendo infatti queste fondamentali indicazioni dal foglietto illustrativo, grazie al termine “contraccettivo d’emergenza”, le potenziali consumatrici crederanno di scongiurare tranquillamente il concepimento, così come avviene con la contraccezione classica, sebbene sia possibile l’esatto contrario.
A tutto ciò, infine, si aggiunge anche, secondo l’On. Eugenia Roccella, il rischio «di aver introdotto un’anomalia, dato che la “pillola del giorno dopo” in Italia prevede sempre la prescrizione medica: svincolare il commercio di EllaOne potrebbe comportare come conseguenza una “liberalizzazione” di tutte le altre pillole abortive, che diventerebbero così più accessibili di un Aulin».
Ma noi non ci stiamo e faremo di tutto affinché si sappia sempre qual è la verità: nessuno tocchi donne e bambini!
Raffaele Marmo