Voci sulla fine dell’aborto forzato in Cina
Il governo provinciale dello Shaanxi, nella Cina centro-settentrionale, ha pubblicato un documento in cui chiede l’abolizione dei limiti alla natalità secondo la politica coercitiva di pianificazione familiare – basata sull’aborto forzato – ancora in vigore in Cina (anche se si è passati da uno a due figli e anche se si stanno rendendo conto del disastro demografico economico e sociale che questa ha causato).
Attualmente, in Cina, per fare figli serve ancora il permesso del governo. Viene concesso per il primo, ora anche per il secondo, in casi eccezionali per un terzo. Ma chi fa figli senza permesso è soggetto a multe esorbitanti, somme di denaro più grandi del reddito familiare annuale. Centinaia di milioni di donne sono state punite anche con l’aborto forzato o con la sterilizzazione coatta, in questi ultimi 30 anni.
Il Rapporto sullo sviluppo della popolazione nella provincia dello Shaanxi 2017 chiede – appunto – l’abolizione delle politiche di pianificazione familiare e incoraggia inoltre l’introduzione di politiche per aumentare il tasso di natalità: sussidi, servizi di salute materna e infantile, infrastrutture educative della prima infanzia.
Reggie Littlejhon, presidente di Women’s Rights Without Frontiers, che è un’autorità in tema di politica di pianificazione familiare cinese, spiega che, secondo una notizia della Reuters, un progetto di codice civile a livello nazionale contiene l’abolizione della politica di pianificazione familiare cinese: la Cina sta per “finire” e “rottamare” la politica dei due figli, hanno cominciato a scrivere tuti.
La smentita dalla stessa stampa di regime
Tuttavia, due articoli di questa settimana sul China Daily – il giornale ufficiale in lingua inglese pubblicato dalla Repubblica popolare cinese – hanno smentito queste affermazioni.
China Daily spiega che la pianificazione familiare, rimossa dalle bozze di codice civile relative al matrimonio e all’adozione, rimane intatta nella sezione intitolata proprio “pianificazione familiare”.
Quindi c’è la possibilità che la Cina stia considerando l’abolizione del suo brutale programma di controllo della popolazione, tuttavia ancora non c’è nulla di concreto.
La dittatura è al di sopra della legge
E soprattutto va tenuto in considerazione che, in uno Stato totalitario come la Cina, il valore della legge scritta è molto relativo. Lo Stato (e in specie il potere esecutivo) non è soggetto alla legge. Le norme e i codici valgono solo per chi non è protetto dai veritici del Partito Comunista Cinese. Quelli che hanno il potere, invece, fanno come gli pare. E la cosa è stata dimostrata anche in questi 30 anni di pianificazione familiare: ai trasgressori venivano persino rase al suolo le case. Le leggi che autorizzavano certe vessazioni erano leggi... segrete (si vedano i documenti probanti raccolti da ex funzionari della pianificazione familiare, dissidenti, fuggiti dal loro Paese e pubblicati nel libro del compianto Harry Wu, Strage di innocenti)!
Lo Stato totalitario fino in fondo
Inoltre, continua la Littlejohn, bisogna temere anche che per risolvere la crisi demografica la dittatura cinese ricorra alla “gravidanza forzata”. C’è infatti chi propone un “fondo di procreazione, per cui stavolta sarebbero le coppie in età fertile che hanno meno di due figli a dover pagare una multa salatissima.
Insomma, i tiranni di Pechino si sono ormai “infilati nel letto” delle donne cinesi e si sentono in diritto di decidere della loro vita sessuale e riproduttiva.
Da più parti i nostri media celebrano una sorta di “rinnovamento” della Cina: ha sempre dato fastidio ai media politicamente corretti dover gettare ombre sulla dittatura di Pechino, che è una delle più barbare e probabilmente la più longeva e sanguinaria della storia dell’umanità: con i Cinesi si fanno ottimi affari...
Francesca Romana Poleggi