20/07/2016

Aborto: questa generazione ne vedrà la fine?

L’aborto è una realtà che deve preoccupare ogni persona ragionevole che crede nella dignità di ogni essere umano.

A volte, però, si rischia di assumere un atteggiamento passivo, dando per scontato che il male ormai c’è e non c’è niente da fare.

Invece il nostro atteggiamento rispetto al genocidio che si pratica quotidianamente intorno a noi con l’aborto deve essere pro-attivo. Altrimenti è come se si scegliesse di guardare da un’altra parte:  ma non si può  dire, però, “Non lo sapevo.”

Preoccuparsi di qualcosa senza agire alla fine porta all’apatia (in senso letterale, mancanza di pathos) e inevitabilmente il problema viene accantonato se non del tutto dimenticato, dice Wesley Reid su Live Action.

William Wilberforce (1759 – 1833) è stato il politico inglese a cui principalmente si deve l’abolizione della tratta degli schiavi, prima in Inghilterra, poi nelle colonie britanniche.

Ha trascorso 28 anni a condurre una battaglia che tutti consideravano impossibile. Ma la sua tenacia non ha ceduto né di fronte all’opposizione politica né di fronte agli attacchi personali. I membri del Parlamento sostenevano la legittimità della schiavitù così come i politici oggi sostengono l’aborto: ma mentre a quei tempi i politici erano personalmente compromessi perché tutti loro, in pratica, possedevano degli schiavi, oggi l’aborto è una questione squisitamente politica, non personale. Anzi, molti dei sostenitori dell’aborto dicono che “No, io non abortirei mai, ma bisogna lasciare libere le donne che ...”.

Quindi Wilberforce è riuscito in una missione più difficile di quella che hanno i pro life (e Wilberforce pare anche fosse malato grave).

Diceva (era credente, di religione anglicana):  “Dio Onnipotente ha posto davanti a me due grandi progetti: la soppressione della tratta degli schiavi e la riforma dei costumi.”

Sapeva che l’abolizione della schiavitù non sarebbe stata possibile solo con un’azione politica mirata ad ottenere una maggioranza parlamentare. Era necessaria un’azione culturale, volta al riconoscimento della pari dignità di ogni persona che non poteva prescindere dalla sua libertà, dal suo essere riconosciuto come soggetto e non oggetto di diritto.

In questo, a rifletterci bene, molti pro-choice potrebbero sostanzialmente condividere le istanze dei pro life: l’aborto, anche se legale, potrebbe essere bandito moralmente. Nessun bambino dovrebbe morire per colpa dell’incapacità della società di dare il giusto valore alla vita e provare orrore nell’uccidere gli innocenti.

Gli abortisti invocano il diritto di uccidere il figlio in nome della libertà della madre, e la contraddizione è evidente. La stessa contraddizione, espressa dai portatori della stessa mentalità, è  insita nel chiedere la “libertà” della prostituzione e dell’utero in affitto. Ma qui il fronte dei libertari è spaccato: qui ci sono persone ragionevoli (anche una parte del movimento femminista) che si schierano apertamente e decisamente contro la schiavitù delle donne e il mercato dei bambini.

L’azione culturale perché venga riconosciuta la dignità di persone libere, e quindi il loro diritto di vivere, anche ai bambini prima di nascere potrebbe partire proprio da questo punto.

Dice Reid: “Questa generazione può vedere la fine dell’aborto: noi ce la possiamo fare”.

Redazione

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