Abbiamo ricevuto un commento da un Lettore che contesta il fatto che in Italia si pratichi l’aborto tardivo.
Sostiene, il nostro Lettore, che dopo le 23 settimane il medico ha il dovere di salvare il bambino, mettendolo in incubatrice. Ciò è vero. Quindi, ciò vuol dire che si fa l’aborto tardivo. Ma che i bambini vengano salvati e messi in incubatrice è tutto da dimostrare: i casi di Firenze e Rossano Calabro sono finiti sui giornali perché qualcuno ha denunciato l’aver visto i piccoli agonizzanti abbandonati sul tavolo operatorio e tra i rifiuti ospedalieri. Non sorprenderebbe scoprire – come accade all’estero – che il numero di bambini sopravvissuti e “dimenticati” sia molto più alto.
La Regione Lombardia anni fa ha tentato di abbassare a 22 settimane il limite gestazionale per l’aborto “terapeutico” (le virgolette servono a ricordare che l’aborto uccide, non cura, non è una “terapia”, come vorrebbe far credere la neolingua). La proposta è stata bocciata. L’aborto “terapeutico” si fa fino a 23 settimane e 5 giorni. E anche oltre “se c’è pericolo di vita per la madre”. Con l’obbligo di cercare di salvare il bambino...
... ecco allora che torna comoda l’iniezione intracardiaca: le iniezioni nel cuore dei bambini servono ad evitare che in tali casi nascano vivi.
Abbiamo detto un’inesattezza, è vero. Abbiamo parlato di cloruro di potassio. Qui il Lettore ha ragione: usano il Methotrexatre per le intracardiache. E normalmente inducono il parto con medicinali tipo la RU486.
Con l’aiuto di Giorgio Celsi e dell’associazione Ora et Labora in Difesa della Vita, abbiamo raccolto una testimonianza diretta.
All’ospedale Buzzi di Milano, si è praticata al feto l’iniezione intracardiaca almeno fino al 2008, anno in cui è morto il dottor Nicolini, che sovrintendeva alle interruzioni di gravidanza volontarie del suddetto ospedale. Parla una donna: «Chi si trova in questa penosa situazione, sappia che p.es. al Buzzi di Milano ti fanno sì l’iniezione intracardiaca al feto per non rischiare di partorirlo vivo come in altri posti invece ancora accade (emoticon:bomba arrabbiata), ma alla mamma solo iniezioni di antidolorifici ogni 3 ore se vuoi (nella cui somministrazione sono devo dire solleciti), che però non servono quasi a nulla; scordatevi l’epidurale, (...) all’estero...spiace doverlo dire ma lì hanno cura della partoriente molto più che da noi...con me (al Buzzi n.d.r.) sono stati sufficientemente carini,(...) Se invece avete notizie di ospedali che offrono in Italia l’epidurale per ivg, segnalatelo, perchè ricordo a tutte che da noi l’ivg è un parto indotto (su cui già di solito non offrono l’epidurale, figuriamoci se è un’ivg...)».
Un’altra (che ora è stata rimossa dal blog dove era stata pubblicata) parla di un aborto terapeutico al 5° mese, con intracardiaca, all’ospedale San Martino di Genova.
Nella norma, comunque, è l’induzione chimica del parto.
Ci sono diverse testimonianze sui vari blog “femminili”. Sono storie terribili quelle che parlano di aborto tardivo. Potete leggere con i vostri occhi che è “normale” disfarsi del bambino dopo le 22 settimane (c’è chi consiglia di tenerlo in braccio finché muore, quando nasce vivo). Molte lo partoriscono nel WC. C’è tanto dolore e tanta disperazione in quelle donne. Certo, non vanno “giudicate”, vanno aiutate a capire cosa hanno fatto e a elaborare il lutto e un sano pentimento. Ma andavano, innanzi tutto, aiutate prima ad evitare di trovarsi nel mezzo di una tale tragedia. L’aborto va evitato, perciò va innanzi tutto vietato. E contestualmente vanno potenziate le strutture assistenziali per affrontare e risolvere i problemi connessi alle gravidanze indesiderate.
Si capisce, leggendo questi blog, quanto le donne stesse siano vittime dell’aborto. Ma non si considera affatto, in queste testimonianze che la prima vittima è il bambino. C’è anche chi dice che finché è un “feto” non è “umano”...
La legge 194 pone sostanzialmente ben pochi paletti veri all’aborto. E quelli che ci sono, è molto facile aggirarli, basta trovare medici compiacenti.
In più, “C’è la volontà diabolica di nascondere i metodi che si usano per l’aborto terapeutico”, dice Giorgio Celsi. Non possiamo davvero dargli torto.
Redazione