03/11/2012

Argentina, Macri blocca la legge sull’aborto

Il 23 ottobre scorso Mauricio Macri – governatore della città autonoma di Buenos Aires e accreditato come il principale sfidante di Cristina Kirchner alle prossime elezioni presidenziali – ha formalizzato il suo veto contro la legge sull’aborto approvata alla fine di settembre dal parlamento cittadino. Macri , oltre ad avere tenuto fede alle intenzioni manifestate già all’indomani della votazione del parlamento, ha anche ripristinato il precedente protocollo del ministero della Salute della città di Buenos Aires.

Le motivazioni ufficiali per cui la legge è stata respinta vertono sul travalicamento proprio di quel verdetto della Corte Suprema di Giustizia della Nazione che invece intendeva recepire. La decisione della Corte – lo ricordiamo – dispensava la donna che intendesse abortire dalla previa autorizzazione del giudice ed eliminava la possibilità di incorrere in sanzioni penali sia per la donna che per il medico.

Tra le altre motivazioni ci sarebbe la violazione dell’omogeneità del sistema giuridico nazionale sancito dalla Costituzione che crea aporie rispetto ad altre fonti legislative – come il Codice Civile – e conseguenti contrasti tra la legislazione cittadina e quella nazionale. Ciò vale in particolare nel caso delle minorenni che, secondo la legge respinta, potrebbero decidere autonomamente, mentre secondo la legge nazionale sono ancora soggette alla patria potestà. La norma respinta non tutelerebbe inoltre i diritti del personale medico che si dichiari obiettore di coscienza.

Il protocollo rientrato in vigore – bollato come troppo restrittivo dall’opposizione e dai gruppi a difesa dei diritti delle donne – fissa un limite di 12 settimane per l’interruzione di gravidanza in caso di violenza sessuale e impone alle minorenni l’obbligo di approvazione da parte dei genitori. È quest’ultimo un elemento particolarmente contestato dagli oppositori, perché non tiene conto del fatto che la maggior parte delle violenze e degli abusi sessuali avviene all’interno delle mura domestiche.

Il veto di Macri ha suscitato forti reazioni da parte dell’opposizione e delle associazioni a difesa del diritto all’aborto legale, sia per la modalità tecnica che per gli effetti che ne seguiranno. Macri è anzitutto accusato di governare con la pratica del veto – questo sarebbe il 107° dall’inizio del suo mandato – e non rispettare né la sentenza della Corte né la volontà degli altri organi legislativi che hanno regolarmente redatto e approvato la legge. Oltre a privare donne vittime di abusi di diritti fondamentali, avrebbe poi agito con finalità propagandistiche per compiacere la Chiesa e l’ala più conservatrice del suo partito.

Quella di una legge laica ed efficace per la regolamentazione dell’aborto è una questione tutt’altro che secondaria in Argentina se si considera il numero altissimo di violenze sessuali e domestiche perpetrate quotidianamente. La violenza di genere è materia della legge 26.485 del 2009 che dovrebbe prevenire, punire e sradicare questo fenomeno criminoso. Ma la sua attuazione, già rimandata di due anni, non può considerarsi affatto conclusa: l’introduzione del registro unico nazionale, ad esempio, risale solo allo scorso settembre – fino a quel momento permaneva persino il problema della mancanza di dati ufficiali.

Sebbene la possibilità di denunciare sia stata agevolata dall’istituzione di registri e dall’aumento del numero di commissariati in cui è possibile segnalare le violenze, resta il fatto che – come evidenziato da più parti – mancano una serie di condizioni e di servizi per non far cadere la denuncia nel vuoto. Come, ad esempio assistenza legale e psicologia gratuita, sussidi statali per il mantenimento proprio e dei figli, meccanismi di protezione successivi alla denuncia. Ma soprattutto non è ancora stato istituito il reato di femminicidio sul quale si misura il riconoscimento a livello sociale della specificità della violenza contro le donne.

di Manuela Bonura

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