20/10/2021 di Luca Marcolivio

Assegno per disabili, ma solo se inattivi. La beffa arriva direttamente dall’Inps

Un altro duro colpo alla vita dei disabili arriva dall’ente che più di ogni altro dovrebbe tutelarli. È dello scorso 14 ottobre il comunicato con cui l’INPS decreta l’inattività lavorativa come requisito necessario per la ricezione dell’assegno mensile d’invalidità.

In questo modo, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale recepisce l’orientamento recente della Cassazione (in particolare la n° 17388/2018 e la n° 18926/2019), che identifica lo svolgimento dell’inattività lavorativa come un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale. Qualunque cittadino invalido che lavori, dunque, non potrà ricevere alcun assegno indipendentemente dall’entità del reddito percepito.

A beneficiare dell’assegno sono tutti i cittadini d’età compresa tra i 18 e i 67 anni, la cui percentuale d’invalidità sia compresa tra il 74% e il 99%. L’assegno è inoltre incompatibile con altre pensioni di invalidità (guerra, lavoro, servizio), mentre il reddito personale del beneficiario non può superare i 4931,29 euro per il 2021. In precedenza, ai disabili parziali lavoratori era data la possibilità di integrare il reddito con un assegno non superiore ai 400 euro al mese.

L’altra pietra dello scandalo è nell’entità dell’assegno d’invalidità civile, che rimane fissata universalmente a 287,09 euro al mese. Una cifra davvero troppo bassa per coprire tutte le spese quotidiane di una persona con disabilità. Molti disabili lavoratori si ritroveranno dunque di fronte a un drammatico aut aut: rinunciare al lavoro o rinunciare all’assegno.

A confliggere con la Cassazione e con l’INPS, è la Corte Costituzionale, che, nella sentenza n° 152 del 2020, che riconosce l’inadeguatezza dell’importo della pensione di invalidità civile e sollecita il legislatore a prevederne l’aumento anche per le persone di età inferiore ai 60 anni, mentre per gli invalidi civili al 100%, abbassa il limite anagrafico a 18 anni ma solo se il reddito annuo non supera i 6.713,98 euro.

Stando il nuovo quadro previdenziale, l’unica scappatoia concessa al disabile è rappresentata dal reddito di cittadinanza, sempre a patto che l’intero nucleo familiare del beneficiario sia in condizioni di povertà. Il risvolto umiliante del nuovo “combinato disposto” RdC/INPS è il totale disincentivo della persona disabile al lavoro, che invece costituirebbe un formidabile strumento di integrazione e di inclusione sociale.

Trovandosi stretto nella morsa tra un reddito lavorativo inadeguato e un sussidio insufficiente, il cittadino disabile viene così violato nei suoi diritti fondamentali, peraltro riconosciuti in almeno quattro articoli della Costituzione (2-3-24-32). In particolare, l’art.3 tutela la «pari dignità sociale» a prescindere dalle differenze in base anche alle «condizioni personali e sociali». Lo stesso art.3 afferma che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

Nell’indifferenza più totale dell’opinione pubblica, si sta consumando dunque l’ennesimo scempio della nostra Costituzione, in questo caso a danno di una minoranza particolarmente fragile di cittadini, che difficilmente riescono ad avere voce in capitolo nei programmi elettorali e sui media. Persino in tempi di recovery fund e di rinnovate risorse di welfare da parte dello Stato, gli italiani disabili subiscono la beffa di ritrovarsi ultima ruota del carro nelle priorità delle istituzioni, vedendo peggiorare ulteriormente la loro qualità della vita.

 

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