03/11/2017

Bambini: ogni vita vale. L’aborto non è una soluzione

Recentemente mi sono imbattuta in una curiosa indagine-video pubblicata da “Online for Life e approfondita in un articolo di “Catholic Link“, nella quale si domandava a dei bambini che cosa ne pensassero di adulti che facevano del male ad altri bambini, in particolare quelli che non possono rivendicare la propria autonomia, la propria indipendenza e pieno possesso del proprio corpo perché non vengono ascoltati. In poche parole si chiedeva loro che cosa ne pensano dell’aborto. Ecco il video. 

Insieme ai piccoli intervistati, gli autori, compiono un veloce tragitto, logico e preciso, di domande sequenziali dal vissuto personale dei ragazzini, compresi sogni e fantasie sul loro futuro, fino alla negazione della naturalità di un male. Ovvero in pochi minuti vengono meno la popolare contemporanea prevedibilità che il non-volere-necessariamente una famiglia sia del tutto confacente all’abbondanza della libertà tangibile, assunto smentito dal fatto che ciascun bambino non immagina se stesso solo, ma con moglie, marito e figli; così come viene meno la presunzione di chi dà per assodato che non possa sussistere alcuna ragionevolezza nella posizione di quel piccolo nevo sociale retrogrado intollerante nei confronti dell’aborto, condannato da questi come omicidio legittimato da un’asimmetria fra diritti e uguaglianze.

Nessuno suggerisce ai bambini che far del male a un “baby” sia atto illecito da non doversi compiere nei confronti del prossimo, i bambini ci arrivano da soli. Sanno perfettamente – più di molti adulti lungimiranti – che ledere qualcuno volontariamente, cagionando lui la morte per il proprio tornaconto, è ingiusto. Non contenti però i giovincelli marcano un altro dettaglio difficilmente trascurabile: è piccolo (it’s small!!), perché dovrei volerlo ferire? Verrebbe da chiedersi ascoltando le voci bianche interpellate: è piccolo, perché dovrei volerlo sopprimere? Basta cancellarlo perché non vi sia? Probabilmente dovremmo tornare all’echeggiare di quel motto famoso “La vita non è come la scolorina”. Una vita non si può rinnegare. Invadente liceità nientificatrice che non ci è dovuta.

I bambini reclamano l’ovvio: ogni vita vale

Con netta trasparenza i bambini reclamano l’ovvio, cioè per quale motivo dovrei far del male a qualcuno di cui io – grande – sono responsabile, del quale dovrei prendermi cura perché debole, piccolo e affidato a me. Infatti la domanda che segue è se loro agirebbero per difendere quel bambino messo in pericolo dai genitori, se avrebbero l’istinto di salvarlo. Chi di noi, a simile domanda, riuscirebbe a controbattere «No, io non lo salverei» oppure «Beh, dipende»? Solitamente, all’interno dei dibattiti, a questo punto della spiegazione la controparte sferra le eccezioni a seguito delle quali la madre è diventata madre e per questo avrebbe il diritto di non esserlo, magari per il dolore che il figlio le ricorda.

Basta riprendere le parole semplici dei nostri protagonisti: non potrei fargli del male, è un bambino, è piccolo e – allego – non ha colpe. Esclamazione veritiera alla quale aggiungerei che nelle eccezioni (così come in tutti gli altri contesti) subentra sempre la carità. In diversa misura l’opzione abortista ha sempre con sé una sofferenza, fisica o psichica essa sia, ed è per questo che la famiglia ha bisogno di aiuto. L’aiuto siamo noi tutti, la società intera ha l’affido dei suoi membri e per farlo occorre prima scegliere di essere accorti sull’evidenza: nei piatti delle alternative, ciò che voglio e la vita di un altro, vince sempre la seconda. Nessun perché è sufficiente e irrisolvibile abbastanza da togliere alle persone il diritto a dar loro la possibilità che già hanno scelto e intrapreso: quella di vivere. Anche nelle eccezioni non si discute sul corpo di una donna, ma sulla vita di un essere umano e se tolleriamo che qualcuno diventi – anche solo per poche ore – giudice e quindi superiore ad un altro uomo di pari dignità e valore, cosa potrà sollevare a suo sostegno lo slogan “nessuna discriminazione, siamo tutti uguali”? Quando il ripiano d’appoggio in cui ogni singolo riposa è divenuto ad accesso selettivo? Ci apparteniamo indistintamente dal concepimento alla morte naturale gli uni con gli altri, è un caposaldo del vivere sociale che sui diritti fondamentali dell’uomo nessun uomo possa trovare uno spiraglio giustificativo tale per cui ontologicamente gli sia conferita autorità maggiore e inquisitoria su chi è ontologicamente come lui. Questo principio non decade nemmeno se una legge depenalizza azioni lesive dei diritti altrui, come il nostro caso, negando la relazionalità, ridotta drasticamente in un focus autoreferenziale, conscio di aver intenzionalmente tradito l’alterità. Le eccezioni anelano bisogni diversi dal farsi del male, sono funambole inesperte. Hanno paura e l’istruttore ha il dovere di aiutarle ad oltrepassare il niente sotto i loro piedi, tornando al tutto della vita vera, oltre una prova, una corda, un vuoto fra due estremità. Se non puoi proseguire da solo, cerca la mano di qualcuno, ma non lasciar cadere te stessa insieme al tuo bambino. Sblocca le gambe immobilizzate dalla paura e muovi un passo verso l’altra cima, cammina senza guardare giù! Ecco il dramma che nessuno racconta di ciò che le donne vivono post-aborto, successivamente l’aver compiuto la scelta più “facile”. Scivolano nel nulla pensando che l’altitudine nasconda solo la normalità. La parentesi invece non si chiude nell’evento, apre un futuro costantemente sospeso.

«Se tu sapessi di genitori che vogliono uccidere il loro bambino, faresti di tutto per salvarlo se potessi? Vorresti salvarlo?». «Sì, certo!».

E noi? Noi facciamo di tutto per salvare non solo i cuccioli d’uomo, ma anche la loro famiglia dall’arrecarsi un male corrosivo?

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Non è importante domandarsi se e quanto l’idea del video sia opportuna e se vi capita di soffermarvi su un quesito simile, vi rispondo io: sì, perché dall’innocenza traiamo verità che abbiamo deciso di occultare. La trasparenza è troppo vincolante per i desideri degli adulti, per questo bene e male sono schiavi alla mercé dei bisogni, questo è l’inganno. Se il tipo di sondaggio crea più scandalo del contenuto, abbiamo molto di  noi stessi da recuperare. Sotto la delicatezza molte volte riponiamo noi stessi.

Mi viene in mente un episodio, capitatomi il mese scorso: ero al funerale di un vicino di casa e, in mezzo a molti volti attempati, vidi un nonno con in braccio il nipotino di qualche anno. Mi ha colpito particolarmente perché la morte è drappeggiata di povere stoffe sporche e nessuno è attirato dal malconcio, sicché pochi si sentono incuriositi da ciò che sta sotto la copertura. Purtroppo questa tecnica ha astutamente disorientato i passanti al punto da rendersi invisibile. Una vita finita, per un tempo determinato e fuori dal controllo/dal conoscibile umano, è una delle tante verità che la post-modernità si è prodigata a smaltire mediante espedienti d’intrattenimento, continuamente nuovi e succulenti. Gli anziani, fino a non troppi anni fa, ed i genitori, erano soliti, invece, parlare e mostrare ai giovani la nudità della morte. Dis-velarne la grandezza perché potessero, scorgendo una scadenza inevitabile, rinvigorire la gratitudine di poter vivere, aumentando lo spessore del bene con un senso sceso a profondità maggiori, quelle dell’essere ricordati per qualcosa. Oltre la superficie, oltre il qui ed ora. Oggi accade l’opposto: il piacere serve e si esibisce, ciò che lo ostacola non esiste. Per queste ragioni quando il piacere si trova in balia dell’insoddisfazione e subentrano avversità il pensiero non è allenato al superamento, cede a quell’Io nutrito e mai saziato. I bambini hanno il diritto di conoscere ambo le cose, perché hanno il dovere di ricordarci i nostri obblighi.

Scegliere: impressionante radicalità. Poter decidere è un dramma sofisticato, che ci attanaglia in costrizioni soffocanti, avvinghiate all’uso della libertà. Il bivio è un muro: sbarra passi lenti e distratti, tormentati, stanchi o veloci, insaziabili, allenati a ripristinare traguardi nuovi e inesplorati da raggiungere con corse che si susseguono senza accorgersi della direzione intrapresa. L’invalicabile cos’è? L’altezza della parete, restare fermi o decidere? Siamo chiamati come uomini e, per qualcuno, anche come cristiani, a comunicare se siamo per la vita o per la morte. L’esame è a risposta multipla, due sono le opzioni, una quella giusta, senza se e senza ma. In base alla nostra scelta sapremo che tipo di responsabilità ci stiamo addossando.

Ci sono affanno ed eroismo su molti fronti politically correct, perché invece è così alta l’ostilità per salvare i concepiti d’uomo?

Every child is important…

… non abbiate paura!

Giulia Bovassi

Fonte: Kairosbg


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